Che cos’è l’Afefobia?
L’Afefobia è la paura del tocco. Chi soffre di questa fobia teme in maniera spropositata e incontrollabile il contatto attivo e/o passivo con gli altri esseri umani.
In questo periodo di pandemia questa fobia trova una motivata ma parziale giustificazione in virtù della paura del contagio, ma non è possibile ridurre tutta la sintomatologia solo alla potenziale infezione.
Che cosa passa per il tocco?
Il contatto è una comunicazione prima di tutto tra due corpi. A differenza di quella verbale, dove la comunicazione è sempre mediata da quel mezzo che è la parola, nella comunicazione del corpo è molto più difficile mantenere il controllo.
Il tocco, di fatto, è un contatto diretto con l’altro che ci espone in quanto corpo . Esprime una serie di vissuti che sono in profonda sintonia con quanto sta provando la persona in quel momento. Ad esempio, il contatto, in una persona vittima di abusi, può essere intollerabile perché riattiva dei ricordi traumatici.
Ad ogni modo, ognuno di noi, in maniera inconsapevole, ha un’organizzazione ben definita dei propri spazi d’interazione con gli altri. Questi spazi sono stati studiati in maniera sistematica dall’antropologo americano Edward Hall e dalla sua prossemica.
Lo spazio intimo
Dagli studi di Hall è emerso che, sulla base del rapporto che caratterizza gli interlocutori, le persone tendono a disporsi nello spazio, secondo distanze definite. Sono state individuate 4 distanze, la maggiore, definita “pubblica”, superiore ai 3 metri caratterizza le pubbliche relazioni. Ci sono poi quella sociale, che si riferisce alle conversazioni con i conoscenti o per i rapporti formali e quella personale, caratteristica delle interazioni con gli amici.
A quella sociale corrisponde un intervallo tra 5 ed 1 metro, a quella personale 120-45 cm. Per ultima esiste la distanza intima, tipica delle relazioni più private che può instaurare una persona: va 45 cm all’assenza di distanza. Se una persona si pone ad una distanza non consona al rapporto che ha con il suo interlocutore, questi sentirà una sensazione di disagio. Nell’afefobia questo disagio c’è sempre e può essere intollerabile.
Sintomatologia
Chi soffre di afefobia ha una paura incontrollabile, prova disagio e angoscia rispetto al possibile contatto da parte di un’altra persona. In alcuni casi la paura è limitata alle persone del sesso opposto, in altri casi ad entrambi i sessi.
La possibilità di contatto diventa così molto difficile e la persona è a suo agio solo quando gli altri sono ad una certa distanza.
Cause dell’afefobia
L’eziopatogenesi di questa fobia può essere molteplice, possono esserci alla base traumi ed abusi, ma non è l’unica causa. Come sempre, di fronte ai disturbi mentali, bisogna analizzare caso per caso per capire cosa ha portato il soggetto a sviluppare una determinata reazione.
Oltre ad esperienze abusanti, infatti, non è insolito ritrovare nell’infanzia di queste persone rapporti difficili con le figure di accudimento caratterizzati da mancanza proprio di quei contatti che da grandi hanno iniziato a temere così tanto.
Considerazioni
Chi è così spaventato o infastidito, o ancora angosciato dal contatto con l’altro è perché non può tollerare che qualcun altro entri nella sua dimensione più intima. Per questo, chi soffre dell’afefobia, ha come unica modalità a disposizione l’essere solo. La solitudine è l’unico rimedio immediato all’angoscia.
Un famoso adagio latino dice: “beata solitudo, sola beatitudo”. Solo nella solitudine è possibile trovare beatitudine. Anche secondo Sartre, gli altri sono il problema, secondo la sua celeberrima frase: “l’enfer c’est l’autres”.
Tuttavia la solitudine potrebbe trasformarsi in una prigione dorata, in cui non è possibile soddisfarsi pienamente perché senza un altro con cui condividere un’esperienza, questa sarà sempre a metà. Questo non va bene per tutti ma di sicuro ha un senso in questa patologia, in quanto dietro quest’ansia potrebbe celarsi un grande desiderio dell’altro.
Trattamento
La psicoterapia è il trattamento elettivo per questa tipologia di disturbo. All’interno della relazione terapeutica sarà possibile ricostituire e risignificare il senso della distanza e del contatto con gli altri. Questo avviene tanto ricostruendo cosa ha spinto il soggetto a costruire questa reazione difensiva verso l’altro, quanto potendo sperimentare nella relazione con il terapeuta una figura che possa offrire esperienza di un Altro di cui potersi fidare.