Metonimia e Metafora

Introduzione

Una qualsiasi trattazione di psicoanalisi non può non prendere spunto dallo scopritore dell’inconscio, Sigmund Freud, il quale ha provato a dimostrarne indirettamente l’esistenza con una serie quasi infinita di lapsus, dimenticanze, sintomi … raccolti durante la sua pratica professionale e riportati nei suoi scritti di modo che noi potessimo studiarli. Proprio leggendo due opere di Freud, “L’interpretazione dei sogni” e “Totem e tabù” ho riscontrato una certa affinità tematica tra la condensazione e lo spostamento nella prima e magia imitativa e magia contagiosa nella seconda. Allora ho voluto approfondire la natura di questi meccanismi, anche alla luce di ciò che Lacan dice nel Seminario V, ovvero che condensazione e spostamento, come anche gli altri meccanismi individuati da Freud alla base delle formazioni inconsce, sono delle applicazioni di ciò è formulato con i nomi di metafora e metonimia[1]. Questi due registri diventano, nella pratica analitica, strumenti operativi decisivi per l’interpretazione dell’inconscio e delle sue manifestazioni all’interno del contesto analitico e sotto l’effetto del transfert.

Ho così scelto di approfondire nella mia tesi i concetti di metafora e metonimia e mettere in evidenza come queste due figure retoriche sono alla base dell’articolazione del linguaggio. Per definizione, la prima consiste nel sostituire ad un termine un altro che sia collegato al primo attraverso un rapporto di similitudine; nella metafora esiste sempre almeno un terzo termine che fa da ponte tra i due e che deve essere sottinteso, omesso. La metonimia, che etimologicamente vuol dire “attraverso un (altro) nome”, consiste nella sostituzione di una parola con un’altra con cui è in relazione di contiguità, logica o materiale, del tipo: il contenitore per il contenuto, la parte per il tutto, l’effetto per la causa, ma anche la sedia per il tavolo, che evidenzia un rapporto di contiguità fisica.

In linguistica come nel contesto psicoanalitico metafora e metonimia vengono inquadrate in un’accezione più ampia, che definisce, secondo Lacan, i due grandi assi del linguaggio: selezione e combinazione.

Selezione                                        Combinazione

 
sostituzione                                  contesto

paradigma                                    sintagma

opposizioni                                    contrasti

similarità                                       contiguità

metafora                                        metonimia

langue                                             parole[2]

 

La selezione è la scelta di un termine tra i possibili ed implica la capacità che a questo ne venga sostituito un altro vista la quantità infinita di associazioni che si possono operare con le parole, sulla base di qualsiasi similitudine. La combinazione fa riferimento all’idea di legame, di contesto, di connessione; ogni unità linguistica funge da contesto a unità più semplici e, a sua volta, trova il suo in un’unità più complessa. La selezione funziona come metafora, in quanto associa termini che condividono un simile significato o significante. La combinazione, al contrario, è una metonimia dati i rapporti di prossimità e di contesto che instaura tra gli elementi. La lista delle possibili opzioni, ovvero la serie linguistica all’interno della quale scegliere il termine è il paradigma e si colloca a livello della langue. La scelta volontaristica di uno solo dei possibili elementi del paradigma è l’attuazione della langue tramite una linea sintagmatica che costruisce il contesto, e ciò avviene a livello della parole. La langue è la componente sociale del linguaggio, è tutto ciò che è predeterminato rispetto al soggetto e che risulta a sua disposizione per organizzare la parole, la quale consiste nella scelta individuale, nell’organizzazione volontaria da parte del soggetto di tutto ciò che è fissato per convenzione: la parole è l’atto linguistico che ogni soggetto compie liberamente, utilizzando ciò che gli è messo a disposizione dalla langue.

Ho deciso di suddividere il mio lavoro in tre parti. Nella prima riporterò alcuni esempi tratti da “L’interpretazione dei sogni” e da “Totem e tabù” per evidenziare come dietro il processo onirico e le credenze dei popoli primitivi si rintraccino esattamente i meccanismi di metafora e metonimia.

Nella seconda parte, ho solo temporaneamente messo da parte concetti psicoanalitici, per passare alla linguistica, e certificare l’importanza che ricoprono nell’articolazione del linguaggio i due tropi suddetti. Nello specifico mi sono rifatto agli studi su bambini e pazienti afasici di Jakobson e alle sue teorizzazioni che vedono metafora e metonimia come i due rapporti fondativi – interno ed esterno – attraverso cui gli elementi basici del linguaggio (fonemi, morfemi, parole, frasi e enunciati) si combinano tra loro per creare un messaggio.

Nella terza ho cercato di argomentare cosa intende Lacan con: “il linguaggio è strutturato come l’inconscio”, rifacendomi a concetti come la metafora paterna e la metonimia del desiderio.

In sintesi, il mio lavoro si presenta come una digressione sui concetti di metafora e metonimia, tesa a mettere in risalto come queste forme operino in ogni esercizio del significante, ovvero “in qualunque esercizio del linguaggio, anche in quello strutturante l’inconscio.[3]” In conclusione alla trattazione ho deciso di riportare un esempio di Freud, che non deriva dalla sua pratica clinica, ma da una “sfida”, dalla messa alla prova della sua pratica psicoanalitica da parte di un giovane con cui condivideva lo scompartimento in treno. Questo esempio, tratto da psicopatologia della vita quotidiana permette di realizzare come, attraverso la tecnica delle libere associazioni, sia possibile ricostruire a ritroso tutti i nessi, tutti i sentieri associativi che hanno partecipato ad una formazione dell’inconscio.

I. Freud e il linguaggio

1.1 Interpretazione dei sogni

Dalla più famosa opera di Freud l’Interpretazione dei sogni e da  Totem e tabù, è possibile rintracciare una prima intuizione, che col tempo acquisterà sempre maggior consapevolezza, a riguardo dei due meccanismi che sono alla base delle formazioni inconsce, e su cui si fonda la tecnica delle libere associazioni. La nominazione di questi due meccanismi, che nel corpus teorico freudiano, non è sempre univoca non diminuisce l’importanza che ricoprono: come l’autore stesso li definisce, in Totem e tabù, somiglianza e vicinanza sono i due principì, ed essi trovano un:

“punto d’incidenza nella superiore unità di contatto. L’associazione per contiguità è contatto diretto, quella per somiglianza è un contatto in senso figurato. La possibilità di designare con lo stesso termine i due tipi di relazione prova già una qualche identità nel processo psichico implicato, identità che non abbiamo ancora afferrato. ”[4]

Attraverso somiglianza e vicinanza è possibile operare collegamenti tra diversi contenuti o significanti in termini lacaniani. Ne l’Interpretazione dei sogni, Freud riserva due paragrafi corposi a “il lavoro di condensazione” e “il lavoro di spostamento”. Per quanto questa parte dei suoi scritti si riferisca alla funzione che questi due processi ricoprono nella costituzione del materiale onirico, è possibile dimostrare come meccanismi molto simili, se non addirittura identici ci consentano, nella pratica, di poter interpretare tutte le formazioni inconsce.

In Totem e tabù, lo psicoanalista evidenzia come sia centrale nella teoria animistica l’onnipotenza del pensiero dei popoli primitivi e la sua proiezione sul mondo esterno[5]. Nel capitolo sull’animismo Freud parla della magia, considerata come la tecnica elettiva di questa proto-religione, ed evidenzia come alla sua base ci siano due meccanismi: la similarità e la contiguità, molto affini a quelli rintracciati nell’Interpretazione dei sogni.

1.1 Interpretazione dei sogni

Freud è stato il primo a teorizzare che “i pensieri del sogno e il contenuto del sogno ci si presentano come due versioni dello stesso contenuto in due lingue diverse”[6]. Il contenuto è la trascrizione dei pensieri in un altro sistema di espressione. Egli paragona i pensieri di un sogno agli elementi di un rebus, se sostituiamo ad ogni singolo elemento una sillaba o una parola, connesse in qualche maniera, ne può risultare “una frase poetica di grande bellezza o valore”[7]. Ciò che concorre a trasformare i pensieri del sogno in un “rebus”, spiega Freud, sono la condensazione e lo spostamento.

La condensazione è un processo in cui più pensieri ed elementi del sogno si fondono insieme per via di una qualche similitudine che li accomuna in maniera visibile o in maniera più nascosta; alla sua base possiamo trovare il principio metaforico. Una delle sue possibili declinazioni può essere il riversamento, in un unico personaggio, in un unico oggetto, in un’unica situazione, di più persone, più oggetti, più situazioni della nostra vita reale. Freud asseriva che alla base di tale fenomeno c’è la certezza che nel sogno non esiste contraddizione, cioè non esiste impossibilità logica, l’inconscio è caratterizzato da alogicità.

Inoltre, lo stesso processo può agire anche nel senso inverso: nel senso che attraverso la ricostruzione dei sentieri associativi è possibile risalire da un solo elemento manifesto nel sogno a parecchi pensieri sottostanti. Ad esempio nel sogno di Freud sull’iniezione di Irma egli racconta come dietro la figura della sua paziente si celassero più donne come una delle sue figlie, una paziente morta per avvelenamento… Nello stesso sogno, si offre come un altro interessante esempio di condensazione, la sostanza che viene iniettata, di natura incerta: “propile…propili… acido propionico… trimetilammina”; ma partendo dall’analisi del primo elemento del sogno, il propile, Freud nota l’assonanza con Propilei, l’ingresso monumentale che vi è nell’acropoli non solo di Atene, ma anche a Monaco, la stessa città dove un anno prima era andato a trovare un amico gravemente malato al quale, scrive, sicuramente alludeva nel sogno con la parola trimetilammina, sostanza dell’iniezione[8]. I significanti fanno da padroni, attraverso loro i processi onirici possono trovare sfogo alle pulsioni inconsce, dato che per Freud, il sogno è sempre appagamento di un desiderio.

Il neurologo austriaco spiega, attraverso il sogno di un’altra sua paziente, come anche una composizione verbale apparentemente senza senso, possa essere il frutto della condensazione, evidenziando come, per l’inconscio, le parole siano fatte della stessa materia di cui sono fatte le cose: la paziente, che si trovava ad una festa di paese con il marito, diceva: “questo finirà in un maistolmutz generale”. Maistolmutz era riconducibile ad una serie di parole come mais, toll (pazzo), manstoll (ninfomane) e Olmutz (una città della Moravia). Tutti questi frammenti erano residui di una conversazione avuta a tavola e dietro di essi erano nascoste altre parole ancora, ad esempio dietro Mais si celavano: “meissen” (un oggetto di porcellana di Meissen che raffigurava un uccello); “miss” (la governante inglese dei suoi parenti che era appena andata ad Olmutz); e “mies” (parola del gergo ebraico che sta per disgustoso). Questa è una sola di tante catene di associazioni e pensieri che, durante l’analisi, venne fuori a partire da ogni singola sillaba di questo miscuglio verbale.

Le occasioni di condensazione verbale non sono meno frequenti delle altre, Freud riporta anche un altro esempio capitato a lui stesso: in un sogno rimaneva colpito da una parola che aveva davanti, per metà scritta e per metà stampata “erzefilisch”, separata da qualsiasi contesto e completamente isolata. Attraverso le libere associazioni riuscì a risalire ad una serie di termini che variavano per pochissimi fonemi, ma che messi insieme gli offrirono un significato per il sogno.

Secondo Freud: “la deformazione verbale del sogno assomiglia notevolmente a quella comune nella paranoia e presente anche nell’isteria e nelle ossessioni.”[9] I giochetti linguistici, eseguiti dai bambini, che a volte trattano le parole come fossero effettivamente degli oggetti e che creano nuove lingue e forme sintattiche artificiali, sono la fonte comune di tali fenomeni nei sogni e nelle psiconevrosi. La condensazione, così come Freud la definisce, è quel processo che permette di stabilire nessi, e tra immagini e tra parole, insomma tra significanti, sulla base di una qualche similitudine di senso o di apparenza. Tra il pensiero e il contenuto, ci sono gradi di separazione che se ripercorsi potranno collegare i due estremi.

La condensazione non è mai disgiunta dall’altro processo complementare, di cui parla Freud, concorrente alla formazione dei sogni: lo spostamento. “Nel processo di formazione del sogno avviene una trasposizione ed uno spostamento di intensità psichiche[10]” che produce una differenziazione tra il testo del contenuto del sogno e quello dei pensieri. La conseguenza è che i contenuti del sogno non assomigliano più ai pensieri che li hanno generati e che il sogno non offre altro che una deformazione del desiderio sottostante. Lo spostamento può essere definito il principale processo di attuazione della deformazione, prodotto dall’influenza della censura endopsichica: concretizza la dinamica del dirigere l’attenzione, da un motivo fortemente coinvolgente la persona che ha sognato, ad un altro privo di significato.

Ad esempio, nel sogno di Freud della monografia botanica, i pensieri motori del sogno sono i conflitti sorti tra colleghi per obblighi professionali e l’accusa di sacrificare troppo per i suoi passatempi personali, mentre l’elemento centrale del suo contenuto è una monografia botanica. In questo senso opera lo spostamento, traslando il focus da una conversazione avuta la sera precedente con il dottor Konigstein, che secondo Freud era il vero spunto del sogno, alla monografia, anch’essa una impressione attiva ed attuale ma indifferente, in quanto, sempre il giorno precedente, in libreria aveva osservato una monografia sui ciclamini. “La monografia botanica” risulta dunque “un’entità intermedia comune”[11] tra le due esperienze del giorno precedente: era stata presa inalterata dall’impressione indifferente del libro sui ciclamini e riallacciata mediante numerosi nessi associativi al fatto psichicamente rilevante della discussione con il dottor Konigstein che lo aveva portato a riflettere sul pagamento dell’onorario tra medici. Ma questo non è l’unico collegamento possibile, a partire dai due significanti distinti “monografia” e “botanica” Freud rintraccia numerose vie associative nel garbuglio dei pensieri del sogno:

–         “botanica” si riferiva al dottor Gartner (giardinere), all’aspetto fiorente di sua moglie, alla paziente Flora…;

–         “Gartner” si ricollegava al laboratorio e alla discussione con Konigstein;

–         Flora e Frau L., la donna della storia dei fiori dimenticati erano entrambe state citate nella discussione con Konigstein;

–         “monografia” era allacciato al suo lavoro sulla cocaina e ad un laboratorio universitario in connessione con Konigstein.

Monografia e Botanica costituiscono, secondo Freud, dei veri centri di collegamento formale per i pensieri del sogno, sono dei crocevia rispetto a numerosi percorsi associativi.

Riassumendo si può affermare come condensazione e spostamento siano i processi che permettono ai pensieri inconsci di svilupparsi e manifestarsi, deformati, nei contenuti dei sogni. Attraverso la condensazione si dà la possibilità che più pensieri del sogno possano confluire in un unico contenuto, ad esempio nel caso del sogno dell’iniezione ad Irma, la figura della giovane paziente è il rappresentante di più persone; lo spostamento, invece, è responsabile di come un pensiero possa presentarsi ripetutamente in più contenuti del sogno. Per chiarire queste due tendenze opposte, una volta a concentrare ed una a disseminare i pensieri latenti nei contenuti manifesti, Freud riprende un passo del Faust di Goethe,  che rappresenta un’ottima analogia di come, pensieri e contenuti, siano interconnessi tra loro e ciò grazie ai centri di collegamento, ai significanti:

“Migliaia di fili mette in moto un pedale,

le spole volano di qua e di là,

invisibili i fili si tessono insieme

e un colpo solo crea mille collegamenti.”[12]

1.2 La magia in Totem e Tabù

Nel terzo capitolo di Totem e Tabù[13], quello dedicato all’animismo, Freud parla della magia, tecnica animistica per eccellenza.

Questa tecnica ricopriva un ruolo di primo piano nella vita quotidiana degli antichi; ad essa si collegavano credenze, superstizioni ma anche processioni e rituali che si compivano ogni giorno e più volte al giorno.

Tylor ha definito la magia come “la confusione di un legame ideale con un legame reale”[14], dietro questa si cela la centralità dell’onnipotenza del pensiero, ovvero una tendenza a scambiare il reale con l’immaginario, che caratterizzava gli antichi e i popoli primitivi, allo stesso modo, secondo Freud, di bambini e nevrotici[15].

Freud, nella sua trattazione, si basa sui due filoni di magia individuati dal Frazer, magia omeopatica o imitativa magia contagiosa.[16]

La magia imitativa si fonda sulla similarità, sull’analogia tra l’azione compiuta e il fatto desiderato. Per spiegare il principio della magia imitativa Freud riprende numerose pratiche e cerimoniali messi in atto dagli antichi. Presso gli egizi c’era la credenza che ogni notte, quando il Dio del sole Ra discendeva nelle sue dimore nell’infuocato occidente, era costretto a sostenere un combattimento contro Apepi il suo mortale nemico e il suo esercito di demoni. Spesso questo combattimento durava anche oltre la notte tanto che le forze demoniache riuscivano a coprire il cielo con nuvole cupe e a trattenere Ra. Gli egizi, credendo di poter sostenere il loro Dio nella sua guerra quotidiana, avevano un preciso rituale che veniva eseguito ogni giorno nel tempio di Tebe: veniva forgiata con della cera un’immagine di Apepi, solitamente un coccodrillo o un serpente e si scriveva sopra con l’inchiostro il suo nome; la statuina veniva avvolta in una custodia di papiro con un disegno su cui figurava un’immagine simile, era poi legata con capelli neri, il sacerdote del tempio vi sputava sopra, la sbrindellava con un coltello di pietra e la scagliava in terra. Dopo la continuava a calpestare ripetutamente col piede sinistro e infine la bruciava sul fuoco acceso con particolari piante. Dopo la sorte toccata ad Apepi il rituale veniva ripetuto per tutti i demoni suoi seguaci e i loro familiari. Questa cerimonia aveva luogo ogni qualvolta il sole era coperto.

Freud riporta tanti altri simili rituali, come quello in uso presso alcune regioni di Giava dove per assicurarsi la fertilità del terreno i contadini e le contadine presentavano alla terra lo spettacolo di un amplesso umano per dare l’esempio; gli Ainos giapponesi, invece, per sollecitare la pioggia usavano far scorrere l’acqua da vaste termogge, mentre altri trasportavano per il villaggio un recipiente fornito di vele e remi come fosse una nave.

E’ chiaramente la similitudine tra azione compiuta e fatto desiderato in questi casi ad assicurare l’efficacia del rituale. Se si vuole la pioggia basta imitarla con un’azione che la richiami. In fasi successive della civiltà queste pratiche magiche saranno sostituite da processioni ad un tempio dove si pregherà il Dio che vi dimora affinché conceda la pioggia. Infine, dice Freud, si metteranno da parte queste pratiche religiose per individuarne altre, scientifiche, che agendo chimicamente sull’atmosfera cuaseranno la pioggia.

Esiste anche un’altra serie di tecniche magiche possibili in cui il principio di somiglianza sarà sostituito dall’affinità o contiguità: questa magia è definita contagiosa.  Freud riporta una lunga serie di esempi che suggellano le caratteristiche di queste tecniche centrate su di uno scivolamento da un oggetto ad un altro in virtù di una connessione che può anche essere venuta meno, o di un contatto che è avvenuto una sola volta. Le pratiche cannibalistiche hanno un’origine di questo tipo, con l’atto di ingerire una parte del corpo di una persona ci si appropria delle qualità che l’hanno caratterizzata. Anche il nome era considerato parte sostanziale della personalità e se si fosse conosciuto il nome di una persona o di uno spirito si sarebbe acquistato potere su di esso, motivo per cui, presso i popoli primitivi dell’Australia, il nome proprio ricevuto durante l’iniziazione maschile doveva rimanere segreto ed era considerato proprietà personale[17].

Se un melanesiano, ad esempio, riusciva ad appropriarsi dell’arco con cui era stato ferito lo avrebbe conservato in un luogo fresco per attenuare l’infiammazione[18]. Plinio il vecchio consiglia di sputarsi sulla mano con cui si fosse ferito qualcuno nel caso ci si sentisse pentiti, il ferito ne avrebbe tratto immediatamente sollievo[19]. Francesco Bacone ricorda la diffusa credenza che l’unzione dell’arma con cui ci si è feriti sana la stessa ferita[20]. Arrivando a tempi più recenti, Freud racconta che su di una rivista locale inglese nel Giugno del 1902 si leggeva la notizia che una signora nel Norwich dopo essersi infilzata il piede con un chiodo arrugginito, senza neanche togliersi la calza estrasse il chiodo e lo consegnò alla figlia con la raccomandazione di immergerlo nell’alcool: dopo tre giorni sarebbe morta per il tetano. Questo esempio serve ad illustrare come anche nell’era moderna si sono potute conservare credenze di questo tipo, che quindi non erano appannaggio di un essere umano primitivo ma, piuttosto, indicative di una particolare modalità di creare associazioni.

Quindi, da una parte magia imitativa, dall’altra magia contagiosa si riferiscono a due principi associativi, similarità e contiguità, che a loro volta si possono ricondurre a un unico principio superiore, quello del contatto. Ma senza dover ricorrere a questo ulteriore riferimento, come non individuare nella similarità, il principio di uguaglianza, equivalenza che è lo stesso che ha alla sua base la metafora? D’altra parte la metonimia non si basa forse sulla vicinanza, sulla possibilità di spostamento da un elemento ad un altro che è in stretto rapporto di contiguità? Quindi in un contesto diverso, come quello degli studi antropologici sulle società primitive sono emersi due principi generali alla base delle tecniche magiche che sono gli stessi individuati per i sogni, come nota anche Jakobson[21]. Ed è sugli studi di questo linguista che si concentrerà la seconda parte della trattazione. Egli pone la metafora alla base del rapporto interno di identità, di equivalenza tra simboli e la metonimia alla base del rapporto esterno, di vicinanza o contesto: questi due rapporti, secondo Jakobson, sono fondativi del linguaggio.

2. Metafora e metonimia: due stili del linguaggio

La seconda parte di questa trattazione verterà sugli studi, effettuati dal linguista di origini russe Roman Jakobson, sull’afasia e sullo sviluppo del linguaggio infantile. A partire da quei contesti in cui il linguaggio deve ancora  svilupparsi pienamente, o, da quei casi in cui la funzione linguistica è andata deteriorandosi, lo studioso ha potuto rintracciare i processi sottostanti alla combinazione degli elementi linguistici nel linguaggio. Questa seconda parte è stata ripartita in due ulteriori, nella prima ho voluto riprendere alcune nozioni generali sull’organizzazione del discorso nei suoi elementi basilari e nella seconda ho approfondito le conseguenze dirette dell’afasia, così come studiate da Jakobson, perché forniscono un’idea di quale funzione specifica rendano conto, nell’articolazione del linguaggio, i due registri di selezione e combinazione.

2.1 Selezione e combinazione

Nel suo saggio, Il farsi e il disfarsi del linguaggio Jakobson parla di due rapporti fondamentali  per la possibilità dell’uomo di articolare ed esprimersi in un discorso: un rapporto interno di somiglianza (e contrasto) e un rapporto esterno di continuità (e lontananza) condensabili, secondo l’autore, rispettivamente negli opposti tropi di metafora e metonimia.

Il linguaggio nei suoi vari aspetti ha a che fare con ambedue i modi di relazione. Che vi sia uno scambio dei messaggi o che la comunicazione proceda unilateralmente da un destinante a un destinatario, vi dev’essere qualche specie di contiguità fra i partecipanti di ogni fatto linguistico ad assicurarne la trasmissione. La separazione nello spazio, e spesso nel tempo, fra due individui, il destinante e il destinatario, è colmata da un rapporto interno: vi dev’essere una certa equivalenza fra i simboli usati dal primo e quelli conosciuti e interpretati dall’ultimo. Senza una tale equivalenza il messaggio è sterile: anche quando raggiunge il ricevente, non lo tocca.

Il linguaggio ha sempre a che fare con un codificatore, colui che emette il messaggio e con un decodificatore, colui a cui è diretto. Il processo di decodificazione, dice Jakobson, ha a che fare con un calcolo probabilistico[22], se l’emittente, ad esempio, pronuncia la parola inglese “bank”, il decodificatore dovrà compiere una scelta tra i possibili significati associati al significante “bank”, per capire se si stia riferendo all’istituto finanziario o al letto del fiume. Chi riceve il messaggio si baserà sul contesto generale offerto dall’insieme di tutti gli elementi della frase, farà un’analisi di questi elementi che sono tra loro in rapporto di contiguità.

Secondo Jakobson la metafora è implicata nella codifica mentre la metonimia presiede alla decodifica[23].

Questi rapporti valgono per tutti i livelli del linguaggio a partire dai fonemi fino agli enunciati:

“Si confrontino le parole tedesche blau e flau. Fra b e f esiste un rapporto di sostituzione, fra ognuno di questi due suoni e l un rapporto contestuale. L’ultimo rapporto è detto sintagmatico e il rapporto tra elementi di una stessa serie sostitutiva è detta associativo, o, secondo il più esatto termine di Hjelmslev, paradigmatico.”[24]

Ora si consideri la più alta unità linguistica obbligatoriamente codificata: la parola. Secondo Jakobson non è concesso coniare nuove parole, salvo che non siano rese chiare all’ascoltatore mediante traduzione in parole convenzionali o mediante un contesto esplicito; d’altra parte, nella prospettiva psicoanalitica succede che al posto di una parola possa crearsi, nel discorso, qualcosa di nuovo e inaspettato: si dà prodotto metaforico, che agisce a livello della significazione. Ben diversi sono i neologismi, parole create ex novo, che appartengono al campo psicotico.

Le regole che sanciscono la combinazione delle parole in enunciati, secondo Jakobson, sono racchiuse nel codice[25], fisso e determinato, ovvero nella langue. Se “Giovanni ama Maria” non vuol dire che “Maria ama Giovanni”, per intendere chi ama e chi è amato, l’ascoltatore deve conoscere le regole sintattiche dell’italiano. L’ordine agente-agito è prescritto dal codice, il parlante, invece, è libero di definire a suo piacimento il contesto, tanto da poter arrivare a pronunciare una frase del tipo: “le cappesante amano la panna acida”, che risulta assolutamente corretta sul piano del codice[26].

La combinazione di frasi in enunciati, secondo la prospettiva dell’autore di il farsi e il disfarsi del linguaggio è il livello meno condizionato da regole convenzionali, il che lascia maggior libertà; cio non toglie che possiamo trovarci di fronte discorsi caratterizzati da frasi stereotipate e enunciati del tutto meccanici.

Ogni livello linguistico risulta così in una doppia relazione, da una parte  si trova il codice e dall’altra si trova il contesto. Ma come già accennato, sia  codice che contesto sono riconducibili ai rapporti fondamentali di metafora e metonimia. I due tropi presiedono rispettivamente alla selezione e combinazione – le operazioni elementari – di tutti gli elementi linguistici che concorrono alla formazione di un messaggio.

Ferdinand de Saussure, il primo a parlare di rapporti sintagmatici e associativi (o paradigmatici), definisce i primi, come rapporti secondo i quali il valore di ogni singolo segno è stabilito dalla relazione con il segno che lo precede e/o lo segue, formati dalla successione lineare degli elementi nella loro effettiva disposizione; gli altri sono invece tutti i suoni che possono comparire in un medesimo contesto, che intrattengono tra loro rapporti di tipo associativo, ma sono rapporti in “absentia”:se ne realizziamo uno escludiamo tutti gli altri[27].

2.2 Gli studi sull’afasia

Tra gli anni ‘40 e ‘60 lo studio dell’afasia è stato un campo estremamente produttivo e per lo studio linguistico e per le collaborazioni che ci sono state tra i linguisti e psicologi, psichiatri e neurologi.

Il primo vero interprete dell’afasia è stato, però, racconta Jakobson, Huglings Jackson che, nel lontano 1879[28], affermava che la mutazione afasica deve essere considerata di duplice natura: quando un paziente dice “sedia” per “tavolo”, in primo luogo mostra una carenza nel non dire “tavolo”, in secondo luogo, una compensazione nel dire “sedia”; ciò indica come l’afasia possa comportare una redistribuzione dei rapporti fondamentali del linguaggio.

L’afasia può essere suddivisa in due macrocategorie, sensoriale o espressiva, a seconda che sia colpita la capacità di codificazione o quella di decodificazione, in altre parole, vi è una menomazione a carico di uno dei due modi di relazione, similarità e contiguità[29].

L’afasia sensoriale o di Wernicke prevede una menomazione a carico dei rapporti interni, mentre i rapporti esterni permangono intatti; i pazienti afflitti sono in grado di seguire, portare avanti e completare un contesto, tutta la loro attenzione è concentrata proprio nella costruzione del contesto, motivo per cui mostrano eccezionali abilità nel completare una parola frammentaria o una frase parziale se gli vengono presentate. I problemi subentrano nella selezione spontanea delle parole, ad esempio quelle necessarie per cominciare una frase o un discorso e specialmente parole staccate da contesti. Gli afasici con rapporto interno menomato hanno difficoltà nel disporre le unità del codice secondo la loro somiglianza, non sono in grado di sostituire ad una unità un’altra equivalente sulla base di somiglianza (o contrasto), non sono in grado di fare equazioni tra parole corrispondenti, hanno, in pratica, perso la possibilità di metaforizzare.

Chi soffre di questa menomazione non sarà mai in grado di rispondere alla parola stimolo di un esaminatore con una parola equivalente, è come se avesse perso la capacità di traduzione, intralinguale e interlinguale. Questi pazienti non riescono a passare da un indice a un simbolo corrispondente.

L’attenzione di un malato di questo tipo è diretta alla sola contiguità, egli non è in grado di percepire identità o somiglianza.

All’estremo opposto si trova l’afasia efferente, così denominata da Luria. Chi soffre di questa non riesce ad operare con la contiguità, mentre rimangono immutate le operazioni basate sulla similarità come riconoscere equivalenze tra simboli appartenenti a codici diversi. A livello fonematico, si riscontrano difficoltà nell’uso dei gruppi di fonemi, impedimenti nel passaggio da una sillaba all’altra. Il malato perde la capacità di costruire proposizioni, il contesto si disintegra, si omettono le parole di relazione, lo stile è “telegrafico”. Dal momento che la gerarchia delle unità linguistiche è la sovrapposizione di contesti sempre più larghi, il disturbo della contiguità, che colpisce la costruzione dei contesti, distrugge questa gerarchia. La parola non serve più come elemento costitutivo di contesti sempre più ampi e, allo stesso tempo, diviene indivisibile nelle sue componenti grammaticali, tanto che un paziente può riconoscere una parola composta, ma non può ripetere da solo i suoi elementi.

Dallo studio sui principali tipi di afasia Jakobson ha potuto approfondire le “due libertà relative del parlante[30]”: libera selezione delle parole e loro libera combinazione in contesti più ampi, regole che valgono anche per tutti gli altri elementi linguistici. Ma selezione e combinazione sono anche l’espressione di similarità e contiguità. La similarità collega i simboli di un metalinguaggio con i simboli del linguaggio a cui questo si riferisce; collega un termine metaforico con il termine di cui è sostituto. La contiguità si rifà ad una logica molto diversa, e in un certo senso complementare, sposta il focus, non su un elemento simile ma su di un altro elemento vicino, allontanando di fatto il termine che era più pertinente e creando una catena, che la allontana da ciò che era il suo oggetto principale – in questo credo faccia eco la logica lacaniana.

Finora ho voluto mettere in luce che già Freud aveva individuato l’esercizio del significante dietro i sogni, credenze antiche e  varie formazioni inconsce e che dietro questo esercizio ci fossero due meccanismi ricorrenti: metafora e metonimia. Jakobson stesso in riferimento a Freud aveva individuato un’analogia tra, da un lato condensazione nei sogni e magia imitativa nelle credenze antiche che sono in evidente rapporto alla similarità; dall’altra parte lo spostamento nei sogni e la magia contagiosa intrattengono un rapporto con la contiguità[31].

3. L’inconscio strutturato come un linguaggio

Nell’insegnamento lacaniano, i concetti di metafora e metonimia sono centrali.

Lacan ci fa notare che Freud aveva già individuato nei sogni, ma anche nei motti di spirito, che il significante era in esercizio e che questo esercizio si dispiega attraverso metafora e metonimia[32]. Il campo non si restringe però solamente alle formazioni inconsce, l’azione del significante rientra in qualunque esercizio del linguaggio. In questo seminario Lacan spiegherà, di fatto, che l’inconscio è strutturato come un linguaggio. Bisogna ora chiarire cosa ciò vuol dire. Ho scelto però di partire da un’illustre esempio che spiega le vie attraverso cui l’essere umano accede al simbolico.

3.1 Il gioco del rocchetto

L’episodio del fort-da riportato da Freud è stato successivamente ripreso da Lacan proprio perché è un esempio perfetto che evidenzia l’ingresso dell’essere umano nell’universo simbolico e la possibilità di padroneggiamento dell’oggetto perduto. In Aldilà del principio di piacere Freud riporta l’osservazione e la commenta:

“Un giorno feci un’osservazione che confermò la mia ipotesi, il bambino aveva un rocchetto di legno intorno a cui era avvolto del filo. Non gli venne mai in mente di tirarselo dietro per terra, per esempio, e di giocarci come fosse una carrozza; tenendo il filo a cui era attaccato, gettava invece con grande abilità il rocchetto oltre la cortina del suo letto in modo da farlo sparire, pronunciando allo stesso tempo il suo espressivo “o-o-o” (in tedesco, Fort, “lontano, partito”); poi tirava nuovamente il rocchetto fuori dal letto, e salutava la sua ricompensa con un allegro “da” ( in tedesco, “qui”). Questo era dunque il giuoco completo – sparizione e riapparizione – del quale era dato assistere di norma solo al primo atto, ripetuto instancabilmente come giuoco a sé stante, anche se il piacere maggiore era legato indubbiamente al secondo atto.”[33]

Secondo Freud, il bambino rinuncia al soddisfacimento pulsionale non protestando per l’allontanamento della mamma e si risarcisce inscenando egli stesso l’atto dello scomparire e riapparire della madre avvalendosi degli oggetti che riusciva a raggiungere. Questo esempio illustra il concetto lacaniano di sostituzione significante. In questo preciso caso si tratta addirittura di un doppio processo metaforico: l’andirivieni materno viene sostituito dall’atto del lanciare e riprendere il rocchetto; azione a cui si sostituiscono le vocalizzazioni fort-da. Questa situazione sancisce l’accesso al simbolico del bambino. Egli è ora in grado di poter rovesciare la sua condizione: è lui a lasciare simbolicamente la madre. Passa dall’essere oggetto della volontà materna, inerme di fronte al suo andirivieni, a soggetto che padroneggia l’assenza. Prima era oggetto di allontanamento, adesso è lui ad allontanare e a questo segue grande giubilo quando riprende il rocchetto, in altri termini scopre la capacità di padroneggiare l’assenza dell’oggetto perduto.

Il fort-da indica che il bambino non è più nella posizione di oggetto del desiderio della madre, smette di essere l’oggetto che colma la mancanza dell’altro, cioè il fallo. Intraprende la sua strada di soggetto con un desiderio, e potrà volgere lo sguardo agli oggetti sostitutivi dell’oggetto perduto.

3.2 La rimozione originaria e la metafora paterna

Bisogna ora definire più precisamente come avviene l’accesso al simbolico.

Attraverso l’accesso al simbolico per il bambino è possibile operare una sostituzione tra il vissuto e un corrispettivo simbolico.

Il primo significante, S1, è quello materno, che presiede a s1, al significato dell’idea del desiderio della madre, il fallo:

“Lei, cos’è che vuole? Vorrei tanto poter essere io quello che lei vuole, ma è chiaro che lei non vuole solo me. C’è qualcos’altro che la agita. Ciò che la agita è la x, il significato. E il significato dell’andirivieni della madre è il fallo.”[34]

All’inizio è quindi centrale S1, ma in questa situazione il bambino è ancora preso nel gioco dell’essere il fallo materno. A un certo punto dello sviluppo edipico, il bambino è portato ad associare all’assenza della madre la presenza del padre, inteso come causa dell’andirivieni materno. Quando la madre è assente è perché è presente presso il padre, che risulta un oggetto fallico rivale. Ma qual è la natura del padre?

“il padre non(…) è (…) un oggetto reale (…). Ora, se non è un oggetto reale, cos’è? (…) Il padre è una metafora.

Una metafora che cos’è? (…) è un significante che si sostituisce ad un altro significante.  Il padre è un significante sostituito a un altro significante.  Qui abbiamo la molla, la molla essenziale, l’unica molla dell’intervento paterno nel complesso di Edipo. “[35]

La metafora del Nome-del-Padre è dunque un significante S2 che si sostituisce  a S1, il significante del fallo che viene rimosso. Questa è la rimozione originaria che crea l’inconscio[36]:

E’ in quanto il padre si sostituisce alla madre come significante che si produce l’effetto ordinario della metafora che Lacan esprime con la formula[37]:

Che ritroviamo nella formula generale della metafora[38]:

Il significante S2 del Nome-del-Padre attraverso il processo metaforico si è sostituito a S1, significante della madre e quindi si è associato al significato del desiderio della madre, il fallo. Questa metaforizzazione, fondamentalmente strutturante,  non è altro che l’atto stesso di simbolizzazione primordiale della Legge e il significante del Nome-del-Padre diventa, così, il principio ordinatore della catena significante.

Attraverso rimozione originaria e metafora paterna, il desiderio si inserisce nel circuito del linguaggio. Più precisamente il significante del Nome-del-Padre fa sì che il desiderio si alieni nel linguaggio: facendosi domanda rivolta all’ Altro, ma questa domanda implica che il desiderio si perda sempre di più nella catena dei significanti del discorso. Passando da un oggetto all’altro il desiderio rinvia sempre a una successione indefinita di significanti che simbolizzano oggetti sostitutivi, all’insaputa del soggetto, del suo desiderio originario, che resta per sempre insoddisfatto. Il desiderio del soggetto rinasce pertanto di continuo, sempre altrove rispetto all’oggetto a cui mira o al significante che può simbolizzare l’oggetto perduto: così il desiderio è impegnato nella via della metonimia.

Conclusioni: Dimenticanza di una parola straniera[39]

Mi piacerebbe concludere questa trattazione con un esempio pratico. Ho scelto di riportarne uno tratto da “La psicopatologia della vita quotidiana” che mi ha molto colpito per due motivi: il primo è l’evidente centralità della tecnica delle libere associazioni, essenziale per ricostruire i nessi associativi che si sviluppano e che allontanano il focus da un significante inconscio; l’altro, complementare,  è che, come già si era visto per i sogni, nell’inconscio le parole sono fatte della stessa materia delle cose, che i puri significanti sono i grandi protagonisti dell’inconscio.

Freud racconta che durante un suo viaggio in treno, aveva conosciuto un giovane ebreo brillante ma rammaricato per la condizione della sua generazione.  Alla fine di una appassionata orazione sulle sue attuali condizioni il giovane citava, o meglio cercava di citare un verso in latino dall’Eneide di Virgilio: “Exoriare ex nostris ossibus ultor”, ma egli stesso non era convinto dell’esattezza della sua citazione e chiese di essere aiutato a completarla poiché sentiva che mancava una parola. Prontamente Freud offrì la parola mancante: “aliquis”; questa dimenticanza si dimostrò subito una buona messa alla prova delle teorie del dottore austriaco. Dopo aver ottenuto dal  giovane la sua complicità, essenziale per sbrogliare la matassa, gli chiese cosa gli faceva venire in mente la parola aliquis. La prima risposta fu la scomposizione in due parole “a” e “liquis” e, poi, altre parole che seguivano liquis: reliquie, liquidazione, fluidità, fluido. Da reliquie si offrì un collegamento alle reliquie di San Simonino da Trento – viste qualche settimana addietro – un fanciullo che fu sacrificato, si narra, dagli ebrei in un omicidio rituale. Il collegamento seguente fu ad un articolo di giornale che nel titolo riportava Sant’Agostino. Subito dopo disse che gli era venuto in mente un vecchio signore, che aveva conosciuto qualche settimana prima in treno, il cui nome era Benedetto.

Freud fece notare come, a quel punto, avevano una serie di nomi di Santi e di Padri della chiesa: San Simonino, Sant’Agostino e San Benedetto. L’ulteriore connessione fu a San Gennaro e al miracolo del sangue a Napoli. Qui il padre della psicoanalisi fa notare come sia San Gennaro che Sant’Agostino abbiano a che fare con i mesi del calendario e chiede di spiegare bene questo miracolo del sangue. Il giovane racconta che in una chiesa a Napoli si conserva una fiala con il sangue del Santo che in una determinata festività ritorna liquido, per il popolo questo è un miracolo importantissimo e si eccita molto se dovesse tardare a verificarsi – racconta ancora il giovane, come era successo durante un’occupazione francese della città. Poco dopo l’attenzione del giovane ricadde su di una sua questione personale ed intima, apparentemente slegata con le fila del discorso: il suo pensiero si era rivolto ad una donna dalla quale avrebbe potuto ricevere una notizia assai sgradevole per entrambi, e ciò era una questione di non poca preoccupazione per il giovane.

Per Freud fu facile indovinare quale potesse essere questa notizia, dato come era stato preparato dai numerosi indizi: la donna non aveva ancora avuto il suo ciclo e probabilmente era rimasta incinta del giovane. Era riuscito a giungere a questa conclusione seguendo la catena delle libere associazioni così come le aveva riferite il giovane : a-liquis – reliquie – santi del calendario – liquefazione del sangue in un giorno determinato – tumulto quando la cosa non si verifica: il giovane si era servito del miracolo del sangue di San Gennaro per alludere al periodo della donna. Ancora un po’ scettico, il giovane aggiunse che aveva visitato Napoli in compagnia di questa donna.

In conclusione, ho voluto citare questo esempio, perché mi è sembrato una buona sintesi di ciò che mi ero proposto di esprimere con il mio lavoro, in cui costituisce valore aggiunto il fatto che non sia materiale riportato da un paziente, ma, a detta di Freud, sia una dimenticanza di una persona normale. A partire da un significante “sensibile”, in questo caso aliquis, capace di simbolizzare uno scenario spiacevole per il giovane, si produce un buco nel suo messaggio, viene meno la sua possibilità di selezionare il termine che cercava. Freud, d’altra parte, attraverso il metodo delle libere associazioni riesce a ricostruire il percorso a monte della dimenticanza, e in questo percorso è chiaro come l’esercizio del linguaggio, o l’esercizio del significante, si articoli attraverso i due registri della metafora e della metonimia, i quali non sono mai del tutto separati, Lacan infatti dice che “Se non ci fosse metonimia non ci sarebbe metafora[40]”.

Ho iniziato a sviluppare questo lavoro da un’idea che ritenevo definita. Ma, approfondendo le teorie e i concetti che avevo individuato in partenza, ho realizzato che l’oggetto della mia ricerca era, decisamente, ben più complesso e stratificato di quanto immaginassi. Alla fine di questo percorso posso, quindi, notare come nel mio lavoro siano presenti numerosi punti bui, ma  questi saranno, senz’altro, i motori propulsori per i miei futuri approfondimenti personali.


Bibliografia:

Joel Dor (1985):Introduction à la lecture deLacan: l’incoscient structuré comme un language, DenoEl, Paris, 1985, pag. 117

Sigmund Freud, (1900): L’interpretazione dei sogni,  trad. it. Newton, Roma, 2006.

Sigmund Freud, (1901): Totem e tabù, trad. it. Newton, Roma, 2006.

Sigmund Freud, (1924): Psicopatologia della vita quotidiana., trad. it. Bollati Boringhieri, Torino,1971.

Sigmund Freud (1920): Al di là del principio di piacere, in Opere IX, trad. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1983.

J. W. Goethe, (1808): Faust, trad. it.. Oscar Mondadori, Milano, 2009

Roman Jakobson (1944): Il farsi e il disfarsi del linguaggio, trad. it. Einaudi, 1974.

Jacques Lacan, (1988): Il Seminario, Libro V, Le formazioni dell’inconscio, trad. it. Einaudi, Torino, 2004.

Jacques Lacan, (1973): Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, trad. it. Einaudi, Torino, 2003.

Jacques Lacan (1958): Gli Scritti: una questione preliminare ad ogni trattamento possibile della psicosi, trad. it. Einaudi, Torino, 2004.

Jacques Lacan (1957): Gli Scritti: l’Istanza della lettera dell’inconscio o la ragione dopo Freud in Scritti II, trad. it. Einaudi, Torino, 2004.

Serge Leclaire (1968): Psicoanalizzare, saggio sull’ordine dell’inconscio e la pratica della lettera, trad. it. Astrolabio, Roma, 1972.

Anika Rifflet-Lemaire (1970): Introduzione a Jacques Lacan, trad. It. Astrolabio, Roma, 1972.

Charles Peirce (1932): Scritti scelti, trad. it. Utet, Torino, 2008.

Ferdinand de Saussure(1922): Corso di Linguistica generale, trad. It. Laterza, Bari, 1972.

Note:

[1] Jacques Lacan (1957-58): Seminario V: le formazioni dell’inconscio, trad. it. Einaudi, Torino, 2004, pag. 83.

[2]  Rifflet-Lemaire (1970): Introduzione a Lacan, trad. it. Astrolabio, Roma, 1972, pag. 65.

[3] Jacques Lacan (1957-58): Seminario V: le formazioni dell’inconscio, trad. it. Einaudi, Torino, 2004, pag. 83

[4] Sigmund Freud, (1901): Totem e tabù, trad. it. Newton, Roma, 2006, pag. 125

[5]  Ibidem, pag. 126

[6]  Sigmund Freud, (1900): L’interpretazione dei sogni, trad. it. Newton, Roma, 2006, pag. 209

[7]  ibidem, pag. 210

[8] ibidem, pag. 221

[9] Sigmund Freud, (1900): L’interpretazione dei sogni, trad. it. Newton, Roma, 2006, pag. 228

[10] ibidem, pag. 231

[11] ibidem, pag. 212

[12]  J. W. Goethe, (1808): Faust, trad. it.. Oscar Mondadori, Milano, 2009, pag. 147.

[13] Sigmund Freud, (1901): Totem e tabù, trad. it. Newton, Roma, 2006, pagg. 117-137.

[14] E. B. Tylor (1870): Primitive Culture. Vol.1 pag. 477,  testo tratto da Sigmund Freud, (1901): Totem e tabù, trad. it. Newton, Roma, 2006, pag. 120.

[15] Ibidem, pag. 126.

[16]  James G. Frazer (1922 ed. ridotta dal’autore): Il ramo d’oro, trad. It. Bollati Boringhieri, Torino, 1990, pag. 23.

[17] Sigmund Freud, (1900): L’interpretazione dei sogni, trad. it. Newton, Roma, 2006, pag. 74.

[18] ibidem, pag.123.

[19] Ivi.

[20] Ivi.

[21] Roman Jakobson (1944): Il farsi e il disfarsi del linguaggio, trad. it. Einaudi, 1974, pag.136.

[22] ibidem, pag. 111.

[23] ibidem, pag. 112.

[24] ibidem, pag. 72.

[25] ibidem, pag. 113.

[26] Ivi.

[27]  Saussure, Ferdinand de: (1922): Corso di Linguistica generale, trad. It. Laterza, Bari, 1972, pag. 170.

[28] Hughlings Jackson,  J.(1879): On affectations of speech from disease of the brain, testo in: Roman Jakobson (1944): Il farsi e il disfarsi del linguaggio, trad. it. Einaudi, 1974, pag. 107.

[29] ibidem, pag. 113.

[30]  ibidem, pag. 116.

[31] Roman Jakobson (1944): Il farsi e il disfarsi del linguaggio, trad. it. Einaudi, 1974, pag. 118.

[32] Jacques Lacan (1957-58): Seminario V: le formazioni dell’inconscio, trad. it. Einaudi, Torino, 2004,pag. 83.

[33] Sigmund Freud (1920): Al di là del principio di piacere, in Opere IX, trad. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1983, pag. 200.

[34] Jacques Lacan (1957-58): Seminario V: le formazioni dell’inconscio, trad. it. Einaudi, Torino, 2004,pag. 177.

[35] ibidem,pag. 176.

[36] Joel Dor (1985):Introduction à la lecture deLacan: l’incoscient structuré comme un language, DenoEl, Paris, 1985, pag. 117

[37] Jacques Lacan (1957-58): Seminario V: le formazioni dell’inconscio, trad. it. Einaudi, Torino, 2004,pag. 177.

[38] Jacques Lacan (1958): Gli Scritti: una questione preliminare ad ogni trattamento possibile della psicosi, trad. it. Einaudi, Torino, 1958, p. 533.

[39] Sigmund Freud, (1924): Psicopatologia della vita quotidiana., trad. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1971 pagg. 23-29.

[40] Jacques Lacan (1957-58): Seminario V: le formazioni dell’inconscio, trad. it. Einaudi, Torino, 2004,pag. 74.

© Vito Iannelli

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