Che cos’è? Di che tipo disturbo si tratta?
Il disturbo psicotico condiviso è un disturbo mentale che coinvolge almeno due soggetti che condividono la stessa convinzione delirante. Quando i soggetti sono due, si parla di folie a deux ( follia a due).
Diffusione e storia del disturbo psicotico condiviso
Il disturbo psicotico condiviso è un disturbo mentale poco comune per cui almeno due soggetti, di cui uno è definito induttore e l’altro indotto, condividono le stesse convinzioni deliranti. Non è un disturbo molto conosciuto anche perché difficilmente chi ne soffre si rivolge ad un curante, è più probabile leggerne sulle pagine di cronaca.
Questa rara sindrome è stata descritta per la prima volta da due psichiatri francesi, Laségue e Falret alla fine del diciannovesimo secolo. Nel loro articolo “La folie à deux ou folie communique”, pubblicato nel Novembre del 1877 sugli annales medico-psychologiques riportano alcuni casi da loro seguiti e delineano i tratti tipici di questa patologia. Nella successiva letteratura sul tema questo articolo è considerato il punto di riferimento principale su questo disturbo e, in effetti, parte di quanto i due psichiatri affermano è ancora oggi ritenuto scientificamente comprovato.
Il viaggio nel tempo di Maria Antonietta
Un’altra pietra miliare su questo tema è l’articolo del 1942 del dott. Gralnick sulla psicosi di associazione in cui passa in rassegna 103 casi di psicosi condivisa e delinea quattro sottotipi del disturbo: follia imposta, follia simultanea, follia comunicata e follia indotta. A questo tema si sono dedicati anche accademici non medici, come la studiosa di letteratura americana Terry Castle che nel 1991 ha pubblicato un saggio dal titolo “Contagious folly: An adventure and its skeptics”.
L’articolo è centrato su di un libro scritto a quattro mani da due donne inglesi sotto falso nome e si riferisce ad un episodio che le stesse hanno vissuto dieci anni prima della pubblicazione del libro. Nel 1901 Charlotte Moberly e Eleanor Jourdain, in visita al Petit Trianon vicino al pazzo di Versailles, hanno un’esperienza molto insolita che non riescono a spiegarsi immediatamente e su cui indagheranno per i successivi dieci anni. Nel 1911 esce il loro libro in cui ricostruiranno la loro avventura: hanno viaggiato nel tempo e si sono ritrovate al cospetto della regina Maria Antonietta.
Il loro libro ha suscitato un vivo interesse all’epoca e per lunghi anni è stato al centro di numerosi dibattiti e feroci attacchi. Al momento di questo viaggio le due donne erano poco più che conoscenti, Moberly era stata appena scelta come sua vice da Jourdain, direttrice del college St. Hugs, e proprio dopo questo viaggio di piacere comincia un sodalizio durato 23 anni durante i quali le due donne lavoreranno a stretto contatto e vivranno insieme. La tesi di Castle come dice il titolo stesso non esclude possa essersi trattato di un caso di delirio condiviso, qui propriamente definito folie à deux.
Qual è il meccanismo alla base del disturbo psicotico condiviso?
Secondo le linee guida dettate da Falret e Lasegue, non è possibile che un delirio diventi contagioso in situazioni ordinarie, ma devono essere presenti precise condizioni essenziali affinché possa avvenire.
In primis, deve esserci un soggetto, definito attivo, che è il folle propriamente detto; poi c’è il secondo, chiamato soggetto passivo, che non è già malato ma è più debole del primo. Il secondo soggetto, infatti, inizialmente resiste, ma poco alla volta subisce la pressione del suo congenere e finisce per assimilare il delirio.
Tale lavorio ha bisogno di essere costante e per questo i due soggetti devono vivere insieme, condividere lo stesso stile di vita, i sentimenti, credenze e speranze ed essere isolati dal resto della società.
E’ molto importante, inoltre, che la credenza delirante sia verosimile, solo in questo caso sarà possibile che si propaghi dal soggetto attivo a quello passivo, se fosse troppo irreale questo passaggio non sarebbe possibile.
In questo senso è molto difficile che due soggetti possano condividere la stessa allucinazione – anche se in letteratura è presente almeno un caso – ma possono condividere una convinzione delirante, riferibile ad un ricordo del passato oppure un’aspettativa, come ad esempio quella di sapere di aver diritto ad un’ingente eredità.
L’ossessione per l’ingente eredità
I due psichiatri francesi riportano a titolo esemplificativo il caso di una madre e di sua figlia, che senza ormai più i mezzi per sostenersi, partono dalla provincia alla volta di Parigi grazie ad una piccola colletta offerta dalla comunità. Questo trasferimento faceva però parte di un piano elaborato dalla figlia che era certa che, da qualche parte a Parigi, c’era per loro un’eredità lasciatagli da un lontano parente defunto. La madre, poco alla volta, si fa convincere anch’essa di questo supposto diritto che gli spettava. Le due donne erano convinte che prima o poi avrebbero ricevuto l’eredità, dovevano solo adoperarsi contro chi lo stava impedendo per aiutare il destino a compiere il suo disegno.
Le cause del disturbo psicotico condiviso
I primi studi sull’argomento di Lasegue e Falret avevano già messo in evidenza, come nella maggior parte dei casi da loro seguiti, il contesto di vita era sempre caratterizzato da mancanze e precarietà in cui la convinzione delirante acquista un valore di salvezza, un’ultima speranza dove non ne sono rimaste altre.
Tale terreno si dimostra fertile affinché una convinzione, per quanto irrealistica, si faccia piano piano strada e si riesca a radicare.
Un percorso di purificazione
In un articolo del 2019, apparso sul World Journal of Advanced Research and Review, Anatolii e colleghi riportano il caso di una coppia di sposi inviati in un istituto di correzione psichiatrica, dal giudice che seguiva il loro caso. La donna, all’ingresso, era convinta di essere una profetessa. Sentiva voci che la mettevano in guardia sulla prossimità della fine del mondo e le dicevano che per salvarsi avrebbero dovuto pregare e fare altri rituali. Il marito si lascia convincere da queste convinzioni e i due, con i loro figli iniziano un “percorso di purificazione” che li porta ad isolarsi dal resto della comunità.
La polizia viene incaricata di accertarsi sulle condizioni della famiglia e quando gli fanno visita, i due sposi si barricano in casa. Sarà necessario sfondare la porta per entrare e una volta dentro troveranno il cadavere in decomposizione del figlio più piccolo adagiato su di un letto. Si era ammalato di febbre e avevano provato a curarlo pregando.
Dopo cinque giorni era morto e non avevano riportato alle autorità la sua morte perché ne attendevano la resurrezione, annunciata alla donna dalle sue voci. Anche in questo punto è possibile rintracciare come la speranza di qualcosa che accadrà diventa un germe che favorisce il contagio della convinzione delirante. Al fondo di questo tipo di delirio allora possiamo rintracciare una convinzione di onnipotenza.
Disturbo psicotico condiviso nei serial killers
Nel 2011 è uscito un film australiano ispirato agli omicidi di Snowtown, una serie di dodici efferati delitti commessi da John Bunting, James Vlassakis e Robert Wagner. Il film approfondisce molto il rapporto tra James Vlassakis, giovane povero e abusato e il carismatico John Bunting. Quest’ultimo avrà un ascendente sul primo, tale da coinvolgerlo poco alla volta nella sua spirale di torture e omicidi. I due rappresentano bene nella realtà la coppia induttore e indotto descritta dai due psichiatri francesi. Questa storia è simile a quella di tutte le altre coppie descritte da Mastronardi e colleghi in un loro articolo sulla follia a due nelle coppie di serial killer.
C’è sempre un induttore ed un indotto, ma non si può assumere, come indicano gli autori, che questo rapporto sia unidirezionale. E’ il rapporto ad essere patologico in misura maggiore rispetto alla patologia dei due singoli individui, o comunque dell’individuo più compromesso. E’ la diade che si viene a costituire a risultare patologica.
In questo senso, gli autori affermano che non è possibile assumere che, per quanto malato l’individuo attivo, senza quello ricettivo, si sarebbe comportato analogamente.
La follia a due è quindi qualcosa che si crea tra i due e che è oltre ciascuno preso singolarmente
La follia a due è quindi qualcosa che si crea tra i due e che è oltre ciascuno preso singolarmente. Questo spiega anche come mai la prima manovra terapeutica per la follia condivisa sia separare i due soggetti. In questa maniera si assicura che allontanato dal soggetto induttore, quello “debole” si avvicinerà presto alla realtà.
La suggestione
Prima di inventare la psicoanalisi Freud praticava già come neurologo terapeuta e aveva potuto approfondire la tecnica dell’ipnosi nella cura dei soggetti isterici. Si era prodigato affinché anche nella sua amata Vienna questo tipo di terapia potesse acquisire la fiducia dei medici, che invece la guardavano con certo scetticismo.
Attraverso dei comandi semplici era possibile far cadere in uno stato ipnotico i malati e spingerli a rispondere ai comandi che il medico imponeva e a cui gli ipnotizzati rispondevano come fossero propri. I malati isterici, sotto ipnosi, riprendevano il controllo di quegli arti che non rispondevano durante la veglia. Era inoltre possibile indurre allucinazioni positive e negative: poteva essere ordinato di vedere o non vedere una certa persona.
Questa esperienza è stata essenziale per Freud per le sue successive scoperte. Ha potuto realizzare come nell’essere umano esista una forza che non pertiene alla coscienza ma che è molto potente. Questa forza può arrivare dall’esterno ma ha la sua sede principale nell’inconscio.
Nella psicosi indotta si tratta di suggestione?
La suggestione senza dubbio gioca un ruolo determinante nella psicosi indotta. L’elemento passivo si lascia condizionare dall’elemento attivo perchè alla base vi è un rapporto di profonda fiducia o sentimento verso quest’ultimo. Senza questa fiducia mancherebbe anche la volontà di lasciarsi convincere, così come le condizioni affinché questo disturbo possa instaurarsi.
Nel mondo criminale questo disturbo ha colpito così tanto perché è più difficile da osservare fuori dalla cronaca e dalla psichiatria forense questo disturbo. Nel momento in cui la coppia si instaura non ha più bisogno di nulla di esterno, come se magicamente riuscisse a ricucire insieme i due elementi della coppia divisi nel mito di Platone. Per questo l’esterno è superfluo, ma ritorna solo quando, purtroppo, la legge è chiamata ad intervenire.
Il caso di “An Adventure”
Diverso inceve è il caso di “An Adventure”. Si tratta di un’esperienza che ha legato due donne che da poco si conoscevano in un sodalizio durato 25 anni. Se non avessero condiviso questa esperienza, si sarebbero unite così tanto? O forse è possibile chiedersi se questa convinzione del viaggio nel tempo, non fosse il prodotto di un desiderio eccentrico da parte di queste due donne di generare qualcosa dalla loro unione.
Queste donne, secondo quanto è stato possibile ricostruire, erano legatissime e probabilmente si amavano, in un’epoca in cui per due donne non era possibile dichiarare al mondo il proprio amore, siamo nell’Inghilterra dei primi del ‘900. In questa prospettiva, la differenza tra follia a due e l’innamoramento sembra davvero assottigliarsi. D’altronde non è nuova l’ipotesi che l’innamoramento sia una follia momentanea, è forse il caso di dire che è una follia a due momentanea.