Che cos’è l’inconscio collettivo?
L’inconscio collettivo è il deposito delle esperienze dell’umanità, presente in ogni singolo individuo. Questa definizione molto schematica si riferisce al concetto così come lo ha teorizzato Carl Gustav Jung, uno dei più brillanti allievi del padre della psicoanalisi, Sigmund Freud.
L’inconscio collettivo è il deposito delle esperienze dell’umanità, presente in ogni singolo individuo.
L’apposizione di collettivo serve a differenziarlo da un altro tipo di inconscio, quello individuale. Il padre della psicoanalisi si è concentrato su quest’ultimo. Lo psichiatra svizzero, invece, ha ulteriormente sviluppato il concetto di inconscio, giungendo a ideare quello collettivo. Le divergenze tra i due hanno in seguito comportato la rottura tra i due.

La definizione di Jung di inconscio collettivo
Il lavoro di Jung è proseguito nel tentativo di spiegare come sia possibile che esistano nel profondo della psiche umana degli elementi che sono condivisi da tutti e che chiamerà archetipi. Ha scisso, appunto, l’inconscio individuale da uno collettivo.
Quest’ultimo è, secondo la definizione che lo stesso Jung riporta in appendice al suo testo “tipi psicologici” l’insieme di quei contenuti psichici (inconsci) che non sono peculiari di un solo individuo, ma contemporaneamente di molti individui: cioè di una società, di un popolo o dell’umanità”. Questi contenuti possono essere intellettuali, come l’idea di diritto, di stato, di religione… ed anche emozionali.
La sindrome degli antenati
Questi concetti hanno avuto largo seguito in psicoanalisi e non solo. Numerosi studiosi li hanno approfonditi, evidenziando come in una famiglia possano trasmettersi a livello inconscio tutta una serie di contenuti che condizionano in maniera decisiva la vita dei suoi membri.
Nel suo testo “La sindrome degli antenati” Anne Ancelin Schützenberger racconta i frutti delle sue ricerche teoriche e dell’attività clinica svolta per decenni nei cinque continenti con gruppi di pazienti molto eterogenei, tra cui malati oncologici.

I casi riportati nel libro sono esemplificativi dell’effetto dell’influenza delle vicende familiari, anche di diverse generazioni precedenti, sul singolo. Quello che si trasmette da una generazione all’altra arriva al di là della consapevolezza e le date rivestono un’importanza centrale, come aveva già notato Jung. Riporto uno che ho trovato molto esemplare rispetto alla lealtà familiare, ovvero la ferrea volontà di un uomo di non andare oltre chi l’ha preceduto. È la storia di un malato oncologico.
A quest’uomo viene trovato un tumore ai testicoli. Accetta di farsi operare, con buon esito dell’operazione, salvo scoprire dopo alcuni mesi che delle metastasi avevano colpito i polmoni. Aveva 39 anni, una figlia di nove anni ed era deciso a non sottoporsi alla chemioterapia, con il rischio di morirne. L’autrice ha ricostruito l’albero genealogico di quest’uomo e ha scoperto come il nonno paterno fosse morto per il calcio di un cammello ai testicoli e il nonno materno era morto, durante la guerra, per i gas nervini – che colpiscono i polmoni. Entrambi avevano 39 anni e lasciavano dei figli piccoli (il padre del paziente aveva 9 anni quando è rimasto orfano).
Il suo essere deciso a non farsi curare, nella visione dell’autrice, può essere interpretato come il tenersi leale ai due nonni senza spingersi oltre. Su questo trovo che l’intervento terapeutico può davvero dimostrarsi decisivo se aiuta i pazienti a raggiungere una consapevolezza che svincola dalla necessità avvertita di agire in un certo modo.
L’approccio transgenerazionale
Questo tipo di approccio, conosciuto come transgenerazionale, rappresenta una corrente psicologica che mette in primo piano i rapporti tra le generazioni di una famiglia. Analizza come i racconti, le storie, il modo di relazionarsi, i traumi… del proprio gruppo familiare siano stati trasmessi direttamente o indirettamente ai discendenti.

A proposito, vediamo come ciò che non viene trasmesso oralmente può avere un rapporto ancora più determinante nella vita dei discendenti. La riappropriazione, attraverso la parola, di quanto è successo permette una presa di consapevolezza tale da riuscire a rompere lo schema di automatismo che si era instaurato . Così da poter andare oltre la propria storia familiare mantenendo tuttavia il legame con questa.
Il valore della psicoterapia
Se l’invenzione della psicoanalisi è il punto zero a partire dal quale queste nuove discipline si sono sviluppate, nel corso di poco più di cento anni, sono stati raggiunti risultati impressionanti nelle ricerche in questo campo. Sono d’accordo con chi ha messo Freud in linea diretta con Galileo e Charles Darwin.
Se lo scienziato italiano è stato il primo a dimostrare che l’essere umano non è al centro dell’universo, Darwin ha dimostrato come non è neanche al centro del mondo animale. Freud addirittura ha dimostrato come, in fondo, non sia “padrone in casa propria” perché il vero padrone è l’inconscio.
La psicoterapia in generale, al di là dello specifico orientamento, ritengo che sia lo strumento elettivo per ridurre la distanza tra il nostro Io e l’inconscio.
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Chi non potesse, per vari motivi (per esempio è stato adottato) non potesse conoscere le vicende della propria famiglia, come può individuarne l’influenza nella propria vita?