ansia

sindrome dell'impostore

Sindrome dell’impostore

Con sindrome dell’impostore si definisce un quadro sintomatico sostenuto alla base dalla convinzione di alcune persone, nella sfera lavorativa, di non essere abbastanza dotati delle qualità e capacità richieste. Ogni successo lavorativo è dunque vissuto con disagio,  perché non lo si percepisce meritato e al contempo alimenta l’idea di star prendendo in giro gli altri, per cui prima o poi si verrà smascherati. Storia della sindrome dell’impostore Le prime psicologhe che hanno parlato della sindrome dell’impostore sono le dottoresse americane Pauline Rose Clance e Susanne Imes. Alla fine degli anni settanta hanno scritto una serie di articoli su questa sindrome, dopo averla individuata nel loro lavoro nei college con studenti e professori. Ciò che è emerso frequentemente è che alcune di queste persone erano a disagio con i propri successi lavorativi. Il lavoro d’indagine ha permesso di schematizzare una serie di sintomi comuni a chi aveva queste convinzioni. Sintomi I sintomi della sindrome dell’impostore sono: Considerazioni Questo complesso sintomatico è insidioso: ogni esperienza viene interpretata secondo uno schema rigido, per cui una prova non superata o una presentazione mal riuscita saranno la conferma della propria incapacità. Risultati positivi, come una promozione o una buona valutazione invece saranno attribuiti a circostanze fortuite e casuali, o peggio, saranno frutto di una condotta scorretta. A tal proposito, le psicologhe hanno notato come un comportamento frequente tra queste pazienti fosse quello di “psicanalizzare” i loro esaminatori o superiori e di offrir loro ciò che volevano sentirsi dire. Altre volte utilizzavano il proprio charme o sex appeal per accattivarsi chi avevano di fronte. Questi comportamenti, che avevano il loro ruolo più o meno marginale nel successo ottenuto, li portavano però mettere in dubbio le proprie capacità intellettuali e non sentirsi meritevoli del successo, ottenuto, a parer loro, solo con l’inganno. La forte ambizione di questi soggetti risulta controproducente perché si presenta come un padrone incontentabile e dunque impossibile da soddisfare. Cause Facendo riferimento all’articolo delle psicologhe, le possibili cause per questo disturbo sono rintracciabili in due tipici funzionamenti familiari. Il primo vede la presenza di un fratello/sorella che viene investito dai genitori dell’attributo di “intelligente” e quindi il soggetto assume su di sé l’identità di “meno intelligente”, non solo, anche la famiglia tende a confermare questa identità, con un atteggiamento di indifferenza/svalutazione/insoddisfazione verso l’aspetto intellettivo del soggetto. Questo schema è generalizzabile anche ad altri individui, come un caro amico, un compagno o una persona esterna, purchè goda della massima stima familiare riguardo all’intelligenza, o ad altre caratteristiche “desiderabili”. Ciò può produrre un alter-ego immaginario con cui ogni confronto è perso in partenza. Nel secondo modello familiare individuato dalle autrici, abbiamo uno scenario del tutto differente. Il paziente è considerato dalla famiglia perfetto sotto ogni aspetto: ha tutte le qualità necessarie per ottenere qualsiasi cosa voglia e  la sua storia infantile è contraddistinta da successi precoci e altre meraviglie. Con il peso di questa enorme aspettativa nei propri confronti e l’incontro con una realtà diversa da quella familiare, meno dorata e più concreta, la possibilità di fallire o sbagliare può essere talmente spaventosa da indurre la persona a mettersi in dubbio. Ci si accorge che non sempre si ottengono ottimi risultati senza impegno, che il giudizio dell’altro può essere difforme dal proprio. Vedere altri riuscire meglio, notare che si fa grande fatica ad affrontare alcuni compiti può spingere alla rinuncia. Tirarsi indietro o mentire, quando non si è più sicuri delle proprie capacità, sono modalità per mantenere intatta l’aspettativa dell’Altro ma con il prezzo di dubitare di se stessi. Un punto di vista di altri tempi L’articolo delle due psicologhe americane è molto esaustivo nelle considerazioni psicologiche, ma essendo stato scritto nel 1978, ha dei limiti dal punto di vista dell’analisi sociologica. Le autrici parlano di una società, almeno dal punto di vista lavorativo, patriarcale, in cui le donne sono portate a ritenersi meno intellettivamente dotate a causa del pensiero corrente preponderante. Si deve a questo allora la prevalenza di questo complesso tra le donne e i maschi con tratti femminini: gli uomini, al contrario, tendono a imputare i successi alle proprie capacità e gli insuccessi al caso o a errori dell’altro. Un atteggiamento antitetico a quello di chi soffre della sindrome dell’impostore. Oggi invece notiamo questo atteggiamento sia tra gli uomini che tra le donne, probabilmente in seguito allo sgretolamento negli ultimi 50 anni della logica patriarcale nella divisione dei ruoli di genere. Oggi la sindrome dell’impostore è più democratica, colpisce tutti. Possibili Soluzioni Un percorso psicoterapeutico può aiutare a rimettere in discussione la propria conoscenza di se stessi e le modalità di interazione con l’ambiente sociale. La psicoterapia può aiutare a rimettere in discussione il proprio punto di vista sulle cose che ci capitano, attraverso un lavoro di messa in discussione personale. Non è facile abbandonare la strada che siamo abituati a percorrere e che conosciamo bene, ma perché privarci della possibilità di percorrerne un’altra più soddisfacente? Ultimi Articoli

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disturbo ossessivo compulsivo

Disturbo ossessivo compulsivo

Che cos’è il disturbo ossessivo complulsivo? Il Disturbo ossessivo compulsivo, che può coprire uno spettro molto ampio dal punto di vista sintomatico, può giungere ad essere una grave compromissione alla vita normale. Sintomi ego distonici e ego sintonici Esistono due categorie sintomatologiche principali, quei sintomi che vengono definiti ego sintonici e quelli ego distonici. I primi, in sintonia con l’ego, non sono percepiti come una difficoltà, anzi possono essere uno strumento per raggiungere traguardi e successi.  Quello che si definisce il perfezionismo, il non accontentarsi subito ma cercare di soddisfare un ideale elevato, è un sintomo ego sintonico nella misura in cui permette di raggiungere un successo. Tuttavia questo può diventare ego distonico se si pone come un ostacolo per portare a termine un compito, se spinge a dare così importanza ai dettagli minimi e fa perdere di vista l’obiettivo generale. Quando si può parlare di disturbo ossessivo compulsivo? Si potrà parlare di disturbo ossessivo quando la tendenza alla precisione, alla pulizia, all’ordine, alla perfezione si porranno come ostacolo alla quotidianità. Inoltre saranno un ostacolo al mantenimento del lavoro, di una relazione, quando la ricerca di un ideale prevaricherà sulla vita quotidiana. In misura ridotta e adeguata le difese ossessive aiutano, le cosiddette routine possono rientrare sotto questa lente: prendere il caffè per svegliarsi, mangiare alla stessa ora….  Quali sono le cause? Sono piccole azioni ossessive che permettono di avere controllo sulla propria vita e fanno sperimentare un senso di tranquillità e prevedibilità. La tendenza al controllo, alla base dei meccanismi ossessivo-compulsivi, risponde al bisogno – illusorio – di poter controllare la realtà, rendendola meno imprevedibile. La paura di vivere in perenne balia di un destino avverso è un sentimento atavico nell’essere umano. Da questo sentimento ognuno cerca un modo per difendersi e la tendenza al controllo è un possibile nome di questa difesa. Articoli sui disturbi d’ansia

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silenzio

Trattamento del silenzio

Che cos’è il trattamento del silenzio? Il trattamento del silenzio, o silenzio punitivo, è un comportamento passivo-aggressivo tale per cui, all’interno di una relazione stretta, un suo componente non risponde e talvolta arriva persino ad ignorare l’altra persona. La durata è varia, da pochi minuti – ma in questo caso non credo sia corretto definirlo tale – può durare anche ore o addirittura mesi e anni. Silenzio Punitivo Quello che oggi è nominato silenzio punitivo trae spunto dal trattamento del silenzio, una tecnica di punizione utilizzata nelle prigioni inglesi in seguito alla riforma carceraria del diciannovesimo secolo. Alle punizioni corporali venne sostituito il silenzio. Quando bisognava punire qualcuno, gli si impediva di parlare e si smetteva di rivolgergli la parola. Molti di loro impazzirono. Chi subisce questo tipo di silenzio non ha la possibilità di poter comunicare con l’altro, anzi è nella posizione di non ricevere neanche risposta alle proprie domande. Questa situazione genera sentimenti di inutilità e di abbandono, oltre che frustrazione per l’impotenza suscitata dall’altro.  Secondo alcuni terapeuti viene utilizzato da chi ha scarse competenze comunicative e fa coì perché non riesce ad esprimere se stesso. Secondo altri si tratta invece di una forma di controllo o persino di abuso. Il senso di potere Sicuramente chi lo mette in atto conquista un certo controllo sull’altro e questo gli restituisce un senso di potere. Il silenzio non è mai un vero atto di “silenzio” ma è funzionale a quanto il musone vuole ottenere. Certo, può aver acquisito questa modalità perché l’ha subita nella sua famiglia di origine o da altri, ma è una pratica che può logorare la relazione. Come si supera il silenzio? Per superarlo, chi lo subisce, dovrebbe cercare di rompere lo schema in atto. Piuttosto che preoccuparsi della contingenza o esprimere preoccupazione potrebbe: Scherzare su quanto sta accadendo o ricoprire di attenzione positiva il taciturno; Tagliar corto e ritornare alle proprie occupazioni personali, in attesa che l’altro ritorni “normale”. Queste semplici indicazioni possono risultare davvero difficili da attuare ma sono quello che l’altro non si aspetta e per questo, venendo meno quella percezione di “controllo”, potrebbero rompere lo schema. L’importanza del Dialogo Chi lo mette in atto dovrebbe cercare di sforzarsi di adottare una comunicazione più positiva, il potere offerto dal silenzio è effimero e alla lunga rischia di mettere in crisi il rapporto. E’ un circolo vizioso che può essere interrotto dal tentativo di comunicare apertamente. Questo è possibile se si rinuncia alla lotta di potere che mira a sottomettere l’altro e ci si apre ad un dialogo costruttivo. Se chi si chiude, lo fa perché non si sente in grado di comunicare, deve impegnarsi ancora di più perché una coppia senza comunicazione è l’accostamento di due individui soli. Problemi relazionali

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ansia da separazione

Ansia da Separazione

Di che tipo di disturbo si tratta? L’ansia da separazione è la paura, il timore e l’angoscia rispetto alla separazione dalle figure di attaccamento, quali la madre, il padre o gli altri più significativi, o da casa. Il bambino che soffre del disturbo d’ansia da separazione non è in grado di tollerare la separazione da queste figure e vive la condizione di separazione effettiva o imminente con grande angoscia. Avrà la tendenza ad evitare situazioni fuori di casa o lontano dai genitori per non separarsene. Sono frequenti incubi o fantasie che realizzano questa separazione attraverso eventi imprevisti e traumatici come malattie gravi, rapimenti o incidenti automobilistici… Tuttavia, la sola presenza di questi criteri non è sufficiente per eseguire una diagnosi del disturbo d’ansia da separazione, ma possono essere un campanello d’allarme se tutti presenti e di entità importante.  Non sempre è un disturbo Quando ero piccolo, complici alcune leggende urbane che avevo ascoltato e mi avevano impressionato, avevo sviluppato la paura di essere rapito. A lungo sono tornato ad interrogarmi su quella paura infantile per capire cosa potesse esserci dietro. Oggi credo che l’ansia da separazione sia una buona risposta. In fondo, il timore dietro il rapimento, era di esser portato via dalla mia famiglia, di non poter rivederli più. Trovo che più o meno nell’infanzia di tutti sono presenti paure di questo tipo. Cerchiamo allora di capire quando l’ansia da separazione può essere definita un disturbo. Sintomi dell’ansia da separazione Secondo il DSM-V, l’ansia da separazione può essere definita un disturbo quando, nel caso di bambini e adolescenti sotto i diciotto anni per almeno quattro settimane e nel caso di adulti per almeno sei mesi sono soddisfatti almeno tre dei seguenti criteri: Eccessiva sofferenza quando viene comunicata imminente separazione o quando questa si verifica; Estrema apprensione per la salute o la morte dei propri cari, particolarmente quando separati da essi; Particolarmente preoccupati per eventi imprevisti che potrebbero accadere loro e che li terrebbero distanti dalle figure di attaccamento; Sono riluttanti o si rifiutano di uscire da soli a causa delle ansie di separazione; Hanno eccessiva paura o riluttanza a trovarsi da soli a casa o in altri contesti senza le figure di attaccamento predilette; Mostrano riluttanza nel dormire senza le figure di attaccamento o lontani da casa. I bambini con questo disturbo durante la notte cercano di farsi strada verso il letto dei genitori o di altri significativi. Possono essere riluttanti ad andare al campo estivo o a dormire a casa di amici. Gli adulti, invece, possono aver problemi a dormire fuori casa; Possono ripetersi sogni che hanno il focus sull’ansia da separazione; Sintomi fisici possono presentarsi sia in bambini che in adulti. Nei primi i più comuni sono nausea, mal di pancia, mal di testa quando viene comunicata imminente separazione o quando questa si verifica. Negli adulti o adolescenti è più ricorrente la manifestazione di sintomi cardiovascolari come palpitazioni, vertigini e mancamenti.  Nel caso di adulti il criterio temporale va in ogni caso considerato non in maniera rigida ma piuttosto come una guida. Non è fondamentale che la durata sia del tutto soddisfatta. É più indicativa dell’eventuale presenza del disturbo verificare quanto l’ansia da separazione crei difficoltà a livello occupazionale, sociale e in tutte le principali aree di funzionamento della vita.   Considerazioni sull’ansia da separazione L’elemento centrale, tanto per i bambini quanto per gli adulti, in questo disturbo è l’impossibilità di tollerare la perdita. La separazione è in fondo una perdita. Allora non è raro ritrovare nella storia di chi soffre di questo disturbo una perdita precoce e non elaborata. E’ chiaro che è molto diversa la paura della perdita di un bambino da quella di un adulto, tanto per il maggior impatto traumatico che può avere nel bambino, quanto per la mancanza di strumenti affinati per far fronte ai grandi eventi della vita. Non va tuttavia sottostimato il peso che può avere nella vita di un adulto una perdita importante, non è secondario infatti la capacità individuale di saper reagire ad un evento traumatico. Un esempio celebre di soluzione originale Qualche anno fa ho visto un documentario molto interessante sull’artista Banksy. Il lungometraggio, del 2010, si chiama “Exit through the gift shop” ed ha anche ricevuto una candidatura all’oscar. La storia dietro è molto complessa e poco chiara, come sempre quando dietro c’è Banksy, non si è sicuri in fondo se il documentario infatti sia vero o falso. L’elemento che mi interessa riportare qui è la storia dell’uomo che si occupa di fare le riprese: Thierry Guetta. Presentato come un amante delle videoriprese, segue dappertutto gli street artist per registrare tutto quello che fanno. Ma proprio tutto. E’ riportata anche l’origine di questa sua passione: quando era piccolo sua madre si era ammalata e, vista la sua tenera età, la famiglia aveva pensato bene di tenerlo all’oscuro e mandarlo da dei parenti per evitargli di vedere con i suoi occhi la malattia della madre. Anche quando questa muore lui non ci sarà e verrà a saperlo solo dopo. Crescendo, sviluppa questa passione per i video, grazie anche alla disponibilità in commercio delle prime videocamere portatili. Non si fermerà più, riprenderà ogni momento importante della propria famiglia e non solo e attraverso questo comportamento riuscirà ad esorcizzare la paura di poter perdere di nuovo qualcosa di importante. E’ interessante come quest’uomo abbia sviluppato la sua personale soluzione all’angoscia della perdita.  La costruzione in psicoterapia In fondo, ognuno di noi è chiamato a trovare la propria soluzione e ne svilupperà una, nociva o benefica. Un percorso di psicoterapia fa la differenza in questo. Aiuta chi non è in grado, da solo, di fronteggiare prima il dolore di una separazione e, attraverso la sua elaborazione, a ritrovare la capacità di seguire la propria strada.

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ansia post quarantena

Ansia post-quarantena

Il difficile ritorno alla normalità In queste settimane ho letto spesso della “sindrome della capanna”: una fobia specifica rispetto alla vita di prima. Dopo aver passato in condizione di confinamento più di due mesi, molte persone hanno trovato non poche difficoltà nel riprendere ad uscire di casa. In tanti hanno sentito e sentono tuttora come minaccioso il mondo circostante e trovano rassicurazione nella propria casa. In effetti, l’allentamento delle restrizioni per molte persone è coinciso con un innalzamento dei livelli d’ansia. Per molte persone questo momento si sta dimostrando più delicato rispetto a quello del confinamento.  Proveremo a capirne un po’ di più partendo da quelli che sono i classici disturbi d’ansia, per arrivare a formulare un’ipotesi su quella che può essere l’ansia specifica di questo periodo. Dopo, cercheremo di capire come provare ad affrontarla.  L’ansia dei luoghi pubblici L’agorafobia è un disturbo d’ansia che spinge chi ne soffre a evitare specifiche situazioni. Secondo il DSM-V il nucleo essenziale di questo disturbo sono la paura e  l’ansia innescate dalla reale o prevista esposizione ad un’ampia gamma di situazioni, che generano pensieri rispetto al timore che qualcosa di terribile potrebbe succedere. Le situazioni prevedono: Trovarsi in mezzo  ad altra gente in diversi contesti che spaziano dall’uso dei mezzi, al trovarsi in spazi aperti Trovarsi in luoghi chiusi Essere in coda o in mezzo ad una folla Essere soli fuori casa Per questo il confinamento forzato, per chi ha tendenze all’agorafobia, è stato un periodo di tranquillità.  Ansia sociale Con ansia sociale si indica l’ansia sollecitata dal timore di sentirsi giudicati dagli altri. Più precisamente si teme di essere giudicati negativamente in virtù di un difetto personale come la scarsa intelligenza o un aspetto poco gradevole. Questa paura inibisce la possibilità di interazioni sociale, producendo un grave svantaggio a livello della qualità di vita del soggetto. Inoltre il bisogno di riconoscimento positivo può spingere, chi teme fortemente il contrario, a mettere in atto comportamenti negativi.  Ipocondria L’ipocondria è un disturbo della sfera ansiosa relativo alla preoccupazione eccessiva rispetto alla possibilità di essere malati o di poter contrarre una malattia.  Il contesto attuale, con il suo altissimo grado di incertezza e di sconosciuto che porta con sé, è un potente fattore ansiogeno. Alla luce dei tre tipi elencati più sopra possiamo ipotizzarne uno, specificamente legato al coronavirus, che viene anche indicato come “sindrome della capanna” che riunisce tratti specifici al contempo dell’agorafobia, dell’ansia sociale e dell’ipocondria, e non solo. Questa nuova sindrome ansiosa è una reazione specifica all’emergenza sanitaria che stiamo vivendo.  Sintomi: Consiste nella fobia ad uscire, conseguenza diretta di una serie di preoccupazioni ansiose legate alla situazione al di fuori di casa propria. Si teme, similmente all’agorafobia, gli spazi aperti come quelli chiusi, e ci si sente protetti solo nella propria abitazione.  L’ansia percepita in questa situazione rende davvero intollerabile stare fuori di casa. Diventa difficile abbandonare quella rassicurante quiete offerta dal proprio nido, per l’incertezza che ci aspetta fuori.  L’ansia è scaturita  principalmente da due fattori: nel presente, quello che preoccupa di più è il timore di contrarre il virus, la paura che uscendo, si possa rimanere infettati. Questo poi può produrre rimuginio perché non essendoci una relazione immediata, ma è previsto un tempo di incubazione del virus, può capitare di ripensare ad occasioni in cui ci si è esposti, più o meno, al rischio e temere di star male.  le preoccupazioni future per via delle conseguenze del coronavirus: sui rapporti sociali, sulla salute dei cari più a rischio, sugli aspetti economici con cui ci confronteremo nei prossimi mesi.  La paura di questa situazione può assumere quasi la configurazione di una fobia e per questo, evitando di recarsi fuori di casa, si evita tout court ogni preoccupazione. In fondo questo è lo stesso meccanismo dell’agorafobia. L’agorafobico, ritirato a casa, tende a non uscire per non confrontarsi con le situazioni di cui, inconsciamente, teme di non essere all’altezza.  Rimanendo in casa, inoltre, si può negare quello che sta succedendo fuori , secondo il detto se non lo vedo, non esiste. Sul versante opposto, anche gli assembramenti della movida a cui stiamo assistendo, sono una negazione, più violenta, di quanto accaduto nei mesi scorsi.  Il perturbante freudiano Quella strana sensazione a metà tra il familiare e lo sconosciuto L’essere umano è per indole avverso a ciò che non conosce, e in questo momento storico tutti noi siamo confrontati con qualcosa di ancora troppo sconosciuto. Fino a qualche settimana fa non era affatto straordinario pensare che fuori ci fosse un’entità mostruosa. Sentirsi sicuri coincideva con lo stare a casa. Io che ho continuato a lavorare, per strada ero colto da una sensazione insolita. Freud  la definisce unheimlich, in italiano viene tradotto con perturbante, si tratta di quella sensazione di spaesamento provato quando si assiste a qualcosa che è al contempo familiare e sconosciuto. In effetti tornare a casa, facendo la solita strada che faccio tutti i giorni, senza però incrociare altri mezzi che non fossero ambulanze o pattuglie della polizia, aveva qualcosa che mi agitava dentro. In un contesto così difficile, la sicurezza offerta dalla casa si è rivelata preziosissima. Soluzioni “Chi rimane seduto vicino al camino non è esposto tanto facilmente a perdersi come chi si arrischia nel mondo”.  Questo passaggio di Kierkegaard, filosofo danese, è tratto dal suo libro Aut…Aut, o…o, un libro sulla scelta, che trovo molto attuale. In fondo, durante il lockdown, eravamo costretti a casa, ma allo stesso tempo sollevati da numerose responsabilità, attraverso i diversi decreti che si sono succeduti. Il dovere ci solleva dal volere ed è in un certo senso più facile seguire il dovere che il volere. Il dovere è impersonale, è una regola da seguire, non chiama in causa nulla del soggetto, è de-soggettivante. Il volere, al contrario, richiede un grande sforzo personale, il più grande di tutti perché nel volere ci mettiamo in gioco, senza la certezza del risultato. Il volere è incerto e per questo molto spaventoso, perché allo stesso tempo ci obbliga a sacrificare tante altre possibilità.   L’ansia da

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ansia

Ansia

Che tipo di disturbo è l’ansia? Nell’accezione comune l’ansia ha un valore prettamente negativo.  Avere ansia corrisponde ad un senso di irrequietezza generale, a paura o timore collegati ad un’azione, una persona od un luogo specifici, capaci di attivare quell’affetto molto preciso che tutti conoscono. Spesso, livello troppo alti o prolungati di questa ansia possono risultare insostenibili. Per questo motivo sempre più persone, ricorrono a sostanze legali o illegali per abbassare o far scomparire il livello d’ansia. Esiste però un’altra accezione di questa ansia, che pare molto meno considerata anche se è di uso comune nella lingua italiana.   Desiderare: avere l’ansia per indicare un desiderio di ottenere o raggiungere qualcosa.Avere l’ansia di affrontare un esame è, allora, al tempo stesso, la paura di non superare quell’esame ma anche il desiderio di affrontarlo.  Il desiderio è in effetti una spinta che può essere così forte da mettere in fuga, o che può bruciare. E’ importante riuscire a domare quest’ansia, ad utilizzarla come combustibile per raggiungere i propri obiettivi, a farne da guida per la propria ambizione, a misurare con lei la voglia di fare qualcosa. Una persona ansiosa è una persona di desiderio, ma che ne è schiacciato. Il desiderio è così forte da spaventarla e la persona non può che sfuggire davanti ad ogni sfida. L’ansia è attesa di qualcosa, ma solo la persona che la prova potrà decidere se farne un’attesa passiva e spaventosa, o un’attesa attiva e positiva, in cui, davvero, questo affetto così primordiale, diventa il migliore degli alleati. Disturbi d’ansia Sintomi, cause soluzioni Attacchi di panico

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preoccupazione ipocondria

Ipocondria: disturbo d’ansia da malattia

Che cos’è l’ipocondria? L‘ipocondria è un disturbo psicologico che ha come manifestazione la paura o convinzione di essere malati. Il rapporto tra mente e corpo è molto stretto, nei disturbi a carattere ipocondriaco possiamo notare bene questa connessione. Il corpo e la mente si influenzano a vicenda producendo dolori e preoccupazioni che possono avere ripercussioni negative importanti nella vita di tutti i giorni. Definizione e storia La preoccupazione per il proprio stato di salute può essere tale da portare chi ne soffre a importanti impedimenti nella vita quotidiana. Ad esempio lunghi rituali casalinghi per scongiurare i dolori o evitamento di numerose situazioni fuori di casa per le eccessive preoccupazioni legate al proprio stato di salute. La parola Ipocondria è di derivazione latina (ipo-condrios – sotto la cartilagine), in riferimento, nella medicina ippocatrica, ad una regione del corpo situata sotto l’addome e ai lati del diaframma. Secondo gli antichi, questa era anche la sede della malinconia. Oggi, secondo il DSM-V i sintomi ipocondriaci sono attribuibili a due categorie diagnostiche principali: il disturbo da sintomo somatico e il disturbo d’ansia da malattia. Per gli autori del DSM-V il 75% di chi in passato ha ricevuto una diagnosi di ipocondria, secondo la nuova nosografia attualmente rientrerebbe nella categoria del disturbo somatico, il restante 25% nel disturbo d’ansia da malattia. La sostanziale differenza tra i due è che nel secondo non sono presenti sintomi fisici a carattere doloroso, ma pensieri e preoccupazioni rivolte alle malattie. Sintomi di ipocondria Nel disturbo da sintomo somatico è centrale l’importanza che questo sintomo assume nella vita di chi ne soffre, diventandone il protagonista centrale. Può essere legato ad una condizione medica pregressa, ma senza un reale corrispettivo a livello medico. Ad esempio, in seguito ad un brutto incidente stradale, una persona può non tornare a camminare, ma in seguito a cause psicologiche più che a reali danni al corpo o al cervello. Questa è la differenza principale tra il disturbo da sintomo somatico e il disturbo d’ansia da malattia. Altri sintomi come le eccessive preoccupazioni per la malattia, l’ansia e il bisogno di mettere in atto comportamenti per la propria salute sono invece condivisi dalle due categorie. Questi disturbi spostano il focus dell’ansia e della preoccupazione dal mentale al fisico, attraverso questo passaggio è possibile trovare un’oggetto concreto per le proprie preoccupazioni, qualcosa che sia più facile da spiegare e che possa ricevere l’attenzione anche da chi è intorno. Questo è quanto può considerarsi il tornaconto positivo della malattia. Ne esiste però anche uno negativo, concentrandosi su un effetto più che sulla causa del disturbo il suo trattamento sarà sempre superficiale. Ci sarà un passaggio da una zona ad un’altra, da un organo all’altro senza poterne venire a capo. Cause dell’ipocondria Le cause principali di questi disturbi risiedono in eventi stressanti di varia natura. Possono essere considerati eventi stressanti malattie pregresse ma non solo. Cambiamenti importanti nella vita, lutti, depressioni o altre malattie mentali possono concorrere nell’instaurarsi di disturbi ipocondriaci. Per questo è importantissima la corretta diagnosi del disturbo e l’individuazione delle cause sottostanti. Fermo restando che è necessario poter sempre escludere la causa medica, di fatto, la diagnosi di questi disturbi va sempre presa in considerazione con il medico di riferimento. Possibili soluzioni L’avvio di un percorso di psicoterapia mirato a individuare e trattare le cause psicologiche di questi sintomi è un ottimo trattamento del disturbo, che garantisce effetti a lungo termine. Disturbi d’ansia

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