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Genitori manipolativi

I genitori manipolativi sono un tipo di genitore che non vede nel figlio altro che un riflesso di se stesso e che, per questo, impone la sua visione delle cose e del mondo come l’unica degna di valore. Svalutando direttamente o indirettamente ogni tentativo del figlio di potersi separare, di seguire una strada diversa da quella pensata per lui.

genitori manipolativi

Quando i genitori sono manipolativi

La manipolazione è dunque la messa in atto, da parte del genitore, di influenzare il figlio affinché non si allontani, realmente e simbolicamente, posticipando in maniera indefinita la separazione. Questo comportamento, per quanto può essere realizzato sotto il segno di differenti idee e ideali, ha sempre come epilogo l’imposizione, la prevaricazione sulla spontaneità del figlio, rischiando di ridurne la libertà. Tale modalità si pone in netta opposizione al cosiddetto “amore incondizionato” che generalmente si attribuisce ai genitori, soprattutto alla madre e specialmente nelle primissime fasi della vita. Lo psicoanalista Massimo Recalcati, a tal proposito, riprendendo l’immagine di madre-coccodrillo introdotta da Jacques Lacan. La madre coccodrillo, tipica del discorso patriarcale, è quella madre che sacrificando in sé ogni aspetto della donna per i propri figli, vuole divorare i propri figli, non essendo disposta a lasciarli andare, a separarsene.

Essere Genitori

I genitori hanno un ruolo centrale per tutta la vita dei propri figli. Sono responsabili della cura dei piccoli per i primi anni di vita, quando l’organismo umano non sarebbe in grado di sopravvivere senza un supporto esterno, periodo in cui la simbiosi tra il piccolo e i genitori è naturale, sarebbe più corretto parlare di parassitismo del piccolo nei confronti del genitore.

Con il passare degli anni, questa dipendenza cambia e si rende progressivamente meno necessaria, man mano che il figlio si “soggettiva” ma il legame che si è creato, in positivo e in negativo, non si dissolverà mai. Vorrei inoltre precisare che non tutti i genitori cosiddetti manipolativi soffrono di gravi patologie psichiatriche e non tutti i “malati mentali” che diventano genitori, lo sono in maniera inadeguata.

Il desiderio dell’altro

Skinner, il padre del behaviourismo, negli anni ’30 descriveva un bambino come una pagina bianca, che poteva esser scritta a suo piacimento attraverso rinforzi e punizioni. Questa prospettiva non tiene in considerazione il desiderio. Lacan, invece lo pone al centro della sua teoria, secondo cui il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’altro. Ogni bambino vuole ricevere amore dai propri genitori, ne ha bisogno. L’amore non è sempre incondizionato, allora per ottenerlo, si offre al genitore quanto si aspetta, per esempio andando bene a scuola o riuscendo bene in uno sport.

Tanti esempi illustri possono corroborare questa tesi. Spesso troviamo nella vita delle celebrità storie in cui il desiderio di un genitore si è imposto prepotentemente su quello del figlio, l’aspettativa che questi diventasse un grande artista o sportivo, diventava l’aspetto centrale della relazione genitore-figlio – mi torna in mente il film King Richard, sul padre delle famose tenniste, le sorelle Williams. E’ vero che tutte queste persone avevano un talento eccezionale che poi li ha resi immortali, ma senza il sostegno imposto dal genitore chissà cosa avrebbero scelto di fare. Essere il migliore in qualcosa che non hai scelto è una fortuna o una condanna?

Come capire se si tratta di manipolazione?

Sono state individuate numerose tecniche e tattiche annoverabili al campo della manipolazione, che però non è detto che sia consapevole, anzi quasi mai lo è. Possiamo definire la manipolazione, nel contesto dei genitori manipolativi, come il risultato nel tempo di un certo comportamento e/o tipo di richiesta fatta dal genitore al figlio. Queste richieste possono essere dirette o indirette, vittimistiche e legate al senso di colpa.

La minimizzazione tende a ridurre la portata del vissuto dell’altro, non tenendone debitamente conto. Dire ad un’altra persona, “stai esagerando” implica che non si considera il suo punto di vista. La stessa frase anche se detta solo per tranquillizzare è un tentativo di suggestione, dato che si cerca di influenzare la percezione dell’altro. La definirei manipolazione, solo quando questa suggestione è finalizzata all’imposizione su e alla negazione dell’altro. Questa negazione è il denominatore comune della manipolazione, come lo si vede bene nei ricatti emotivi. Vediamone alcuni:

  • Richiesta diretta: “Se mi vuoi bene, allora fallo”
  • Richiesta indiretta: “Se uscirai, starò in pensiero tutta notte”,
  • Vittimismo: “Prima mi ha lasciato tuo padre, e ora tu te ne vuoi andare, sono destinata a essere sola”,
  • Senso di colpa: “Dopo che sei nato tu, non sono più riuscita a dimagrire”.

Questo tipo di messaggi veicolano un’imposizione percepita come un dovere, che impedisce di sentirsi liberi di agire secondo il proprio desiderio. Ne conseguono il sacrificio di sé o di un profondo senso di colpa se si tenta di venir meno a queste richieste ma non si è elaborata una sana distanza. Il figlio può essere trattato come l’oggetto su cui scaricare frustrazioni e risentimenti, in virtù di un rapporto che non è paritario e che, proprio per questo, permette di far leva su una minore resistenza da parte di chi la subisce.

Possibili soluzioni

La distanza fisica che si pone con la famiglia di origine è un’indicazione interessante del bisogno immaginario di vicinanza o di lontananza. C’è chi si trasferisce a decine di migliaia di chilometri di distanza, chi vive due piani più sotto o chi non se ne allontana mai. La distanza fisica non è però risolutiva, anche da lontano un genitore può essere molto presente. Si tratta piuttosto di poter mettere una distanza simbolica come esito del processo di individuazione soggettiva. Smettere di essere figlio, con tutte le conseguenze che ciò comporta, è un passaggio fondamentale per poter sentirsi liberi verso se stessi, con la possibilità di rinegoziare i rapporti con i propri genitori su un piano più paritario e scevro da obblighi e aspettative.

Qualche tempo fa, in stazione centrale a Milano, per caso incontrai un compagno di scuola che non vedevo da almeno quindici anni e iniziammo a raccontarci un po’. Quando gli dissi che avevo studiato per essere uno psicoanalista mi rispose che lui aveva fatto un’analisi di otto anni, allora la mia curiosità mi spinse a chiedergli: “Cosa hai imparato da questa esperienza?”

“Che mio padre e mia madre sono un uomo e una donna.”

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